C’è una linea sottile che separa il sogno dalla memoria, e Adult Romantix, il nuovo disco dei Winter, la attraversa con passo lieve, come una bicicletta che scende in velocità lungo un viale alberato alle sette di sera, quando l’aria è tiepida e sa ancora di agosto. Fin dalla prima nota di “Just Like A Flower (Intro)” ci si trova proiettati dentro un mondo di sospensioni emotive e fotogrammi sfocati, quelli che restano attaccati al cuore quando ti sei appena svegliato da un sogno bello e non sai se hai voglia di tornare a dormire o rimanere sveglio per sempre. L’introduzione si dissolve naturalmente nella canzone vera e propria, “Just Like A Flower”, e quasi non te ne accorgi, come se qualcuno ti avesse preso per mano nel sonno per portarti altrove – un altrove fatto di chitarre liquide, di domande sospese, di sentimenti sussurrati tra i capelli di qualcuno che forse non rivedrai più. E non è un caso se questo è solo l’inizio: Winter, qui al quinto album, dimostra di aver trovato un proprio modo per raccontare l’amore e la nostalgia senza mai sembrare artefatta. Ogni canzone è un frammento di un’estate che non tornerà, eppure che vive in eterno dentro una canzone.
In “Misery”, il desiderio si fa labirinto, la voce ripete “Are you dreaming of her now?” e lo fa con la stessa insistenza con cui ti tornano in mente i messaggi mai inviati e le frasi sbagliate dette nel cuore della notte. “I wanna be / Caught in your misery” si intreccia a “I wanna be / Caught in your mystery”, e in quel gioco di parole ci sta tutta la verità di chi sa che amare davvero è anche farsi male, o almeno sapere che potrebbe succedere, e nonostante tutto buttarsi comunque. Poi arriva “Without You”, e lì l’assenza diventa presenza, le strade diventano alfabeti e le città sembrano parlare un’altra lingua quando sei solo, perché ogni dettaglio continua a ricordarti una voce, un sorriso, un nome. E non è un’esagerazione: Samira Winter riesce a rendere tangibile quel senso di spaesamento che si prova quando ci si sente lontani anche restando fermi, e lo fa anche passando fluidamente tra inglese e portoghese, trasformando la lingua stessa in strumento di intimità e distanza. Non è solo estetica, è una dichiarazione d’identità, un modo per aprire le porte del proprio mondo senza spiegazioni, solo emozioni.
Nel cuore di Adult Romantix batte forte il ritmo dell’adolescenza che non è mai davvero finita, di quegli amori che hai vissuto a diciassette anni e che continuano a far capolino anche a trenta, mentre scorri la playlist dell’ultimo disco che ti ha fatto tremare. È una corsa tra chitarre shoegaze che si accendono come insegne al neon nella notte di Los Angeles, la città che Samira lascia per trasferirsi a New York ma che ancora le si attacca alla pelle, come un bacio dato troppo in fretta. L’album è un addio, ma non uno di quelli secchi e veloci: è una lettera d’amore a una città che ti ha cambiato, a una casa dove il tempo sembrava liquido, a un’epoca fatta di concerti in salotti, sigarette sul tetto e amici che dormivano per terra. È il disco di una persona che ha deciso di cambiare rotta pur sapendo che avrebbe lasciato dietro di sé pezzi di sé stessa. E in quel tunnel di estati e ricordi che Samira evoca, ogni nota diventa una fotografia sbiadita, ogni verso una ferita che non fa più male ma che brucia ancora quando piove.
C’è qualcosa di eterno nei saluti, qualcosa che sa di rituale. Samira lo sa bene: dopo dieci anni a Los Angeles, il suo addio non è un taglio netto, ma un lento lasciarsi andare. Ogni traccia è intrisa di quella malinconia dolce che si prova quando si parte e sai che, al tuo ritorno, tutto sarà cambiato, anche se di poco. C’è la nostalgia di un’estate che ha smesso di brillare, ma anche la voglia di capire chi si è diventati davvero. Le canzoni sono nate in movimento, scritte tra un tour e una stanza in affitto, tra Bedstuy e Boston, tra sogni che si infrangono e altri che cominciano. “In My Basement Room” nasce da un corso con Phil Elverum, ma è soprattutto un’ode sussurrata al seminterrato dove tutto è cominciato; e “Hide-a-Lullaby” accoglie la voce di Hannah van Loon come un’eco in una stanza vuota. Sono canzoni che parlano di spazi, ma più ancora delle presenze che li abitano e li rendono eterni.
Il disco vibra tra acustiche aperte e squarci shoegaze, tra la dolcezza di Sarah Records e la rabbia trattenuta di Rather Ripped dei Sonic Youth. Samira canta con una voce che sembra filtrata da un sogno, a volte abbassata, fumosa, quasi disincarnata. C’è qualcosa di Grouper nei momenti più ambientali, e qualcosa di Dean Blunt nei passaggi più stranianti. Il risultato è un diario sonoro che alterna leggerezza da rom-com anni ’90 e malinconia gotica, come se Notting Hill fosse stato girato in bianco e nero sotto la pioggia di novembre. E tra dichiarazioni disilluse e promesse sussurrate, Samira lascia spazio a tutto: alla rabbia, al perdono, alla meraviglia. Perché in fondo Adult Romantix è questo: non una fine, ma una sospensione. Un addio che non chiude, ma appunta un segnalibro. E quando canta “Write it down with tears, lick your lips so bitter in sweetness, send to the angels above”, senti che non sta parlando solo di lei, ma anche di te. Di tutti noi che ci innamoriamo, partiamo, torniamo. E lasciamo, sempre, un pezzetto di cuore nel posto in cui abbiamo amato.

Smemorato sognatore incallito in continua ricerca di musica bella da colarmi nelle orecchie. Frequento questo postaccio dal 1998…
I miei 3 locali preferiti:
Bloom (Mezzago), Santeria Social Club(Milano), Circolo Gagarin (Busto Arsizio)
Il primo disco che ho comprato:
Musicasetta di “Appetite for Distruction” dei Guns & Roses
Il primo disco che avrei voluto comprare:
“Blissard” dei Motorpsycho
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Parafrasando John Fante, spesso mi sento sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo, del terribile significato della sua presenza. Ma poi metto in cuffia un disco bello e intuisco il coraggio dell’umanità e, perchè no, mi sento anche quasi contento di farne parte.
