Nel lontano 1980 un grande scrittore si chiedeva come ci avrebbero giudicato i posteri. Con quel tanto di ironia e sarcasmo che lo contraddistingueva, si dette questa risposta: «Come scimmie che imitano scimmie».
Si intitola “Sindrome di Toret”, il quarto album del torinese Guglielmo Bruno, aka Willie Peyote; uno che con l’ironia, la sagacia e l’irriverenza si infila negli interstizi sensibili del nostro presente, ridicolizzando chi si gonfia il petto di parole vuote e continua a ricordare «con gesti ieratici Lincoln, e con certi sorrisi, nientemeno che Roosvelt». Laddove è l’approssimazione la cifra del “gentismo” imperante, l’incipit è fulminante e, per certi versi, paradigmatico dell’intero lavoro:
Devo imparare a dire no, perché la gente parla a vanvera
(La gente parla a vanvera)
E non lo so per quanto ancora reggerò
Chi è il prossimo che sale in cattedra
(La gente parla a vanvera)
A parte i verbi e forse l’algebra, hanno tutti da insegnare
È un popolo di Alberto Angela
(La gente parla a vanvera)
E sei disoccupato, sei troppo qualificato, ma volendo fai il ministro senza laurea
Il suo rap, di parola, concesso all’arte della satira, è debitore dei ’90; Sangue Misto, Neffa certo, ma la teatralità tagliente ancorata ai vizi degli uomini, che poi sono gli italiani che ci circondano, fanno di Willie un novello Chansonnier in rima. È lui stesso a dichiarare di amare i cantautori, da Gaber a Silvestri, e poi la stand up comedy (spunta pure il caustico Giuseppe Montanini in 7 miliardi).
D’accordo, fin qui la speculazione narrativa, ma la musica? Nella cura certosina di Frank Sativa, Kavah e dei musicisti si colgono riferimenti molteplici. Il giovane MC se la intende con il funk, il jazz (non vedo l’ora di ascoltare ancora Giusto la metà di me), lo swing, il soul, il dub, la disco, senza rinunciare al rock e al pop. Sorretto da una band di musicisti impeccabili (tante le collaborazioni illustri, da Roy Paci a Jolly Mare) il timbro, a tratti black, di Willie ne esce poderoso, caldissimo.
Al centro, e davanti a tutto, c’è un’indagine critica e divertente sui media, sulla comunicazione; una profonda messa in discussione dei tempi in cui viviamo, a partire dalle contraddizioni della generazione cui appartiene lo stesso Peyote. I giovani e l’amore, il potere e la politica, il costume: sono le facce di un racconto che ha nella libertà di espressione ancorchè una conquista imprescindibile, l’espediente più adatto a contenere le complessità del paesaggio contemporaneo.
Uno j’accuse che non deve indurre in chi ascolta la più nera sfiducia nel presente e nel genere umano; in fondo è un problema di decibel: «Viviamo nell’epoca che offre più possibilità di accesso all’informazione, ma continuiamo a credere a chi grida più forte», ci ammonisce il nostro che, subito dopo, rivendica di essere un artista e pertanto in dovere di steccare nel coro, pungolare e spingere le persone a farsi delle domande.
Lo stesso giornalista di cui sopra, il quale di certo non era innamorato del presente, ma che non ripiegava in una patologica nostalgia del vintage, avrebbe convenuto: «È impossibile lodare i tempi andati. Dopotutto sono imperdonabili: ci hanno prodotti». Quel giornalista si chiamava Giovanni Arpino e, guarda un po’ il caso, era nato e cresciuto a Torino.
Alberto Scuderi

Nome e Cognome: Alberto Scuderi
Mi racconto in una frase: “Il matrimonio altro non è che quella odiosa ipoteca posta sui coglioni” Giuseppe Rovani. La frase è fortina e un conservatore come me non la condivide appieno. Tuttavia, l’avrei voluta scrivere per primo.
I miei 3 locali preferiti per vedere Musica: Paradise (Amsterdam), Ohibo (Milano), The Craftsman Jazz Club (Reggio Emilia)
Il primo disco che ho comprato: Rock is Dead (Singolo) Marilyn Manson
Il primo disco che avrei voluto comprare: Jagged Little Pill di Alanis Morisette
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Ciascuno ha le sue: penso che il sapone di Marsiglia sia veramente insopportabile. Per le proprie mani, per l’ambiente in cui si spande come veleno, per la società che lo produce e per tutti coloro che si ritrovano a venderlo trasversalmente al pensionato come allo studente fuori sede sfigato che non conosce lozioni altre da applicare alle proprie falangi. Ci vorrebbe una grande petizione popolare: ah, se fossimo negli anni ’70!