Quando si parla dei Weezer dell’ultimo decennio sorge sempre un punto interrogativo enorme. Geni o clown? Ci sono o ci fanno? Solo la band di Rivers Cuomo è infatti in grado di passare con assoluta nonchalance da un album dalla freschezza incredibile come il “White Album” a una raccolta insulsa di cover anni Ottanta come il “Teal Album”, da un esperimento orchestrale pienamente riuscito quale “OK Human” a una bizzaria glam metal pop come “Van Weezer”.

Per questo 2022, i Weezer hanno deciso di regalare ai loro fans la bellezza di ben quattro album (o mini album o EP, vedete voi come chiamarli nell’era del digitale) e tutto ciò fa un po’ paura. Ogni cambio di stagione (equinozio o solstizio che sia) l’obiettivo è infatti quello di pubblicare una manciata di pezzi almeno vagamente ricondubili al corrispettivo periodo dell’anno. “Spring” è la prima di queste quattro uscite discografiche ed è formata da ben sette brani con i quali i quattro losangelini si divertono, noi un po’ così e così.

Purtroppo siamo infatti di poco sopra la qualità di “Pacific Daydream”, probabilmente il loro gradino più basso di sempre. Si parte con quelli che non possono essere che scherzi: Opening Night riprende la Primavera vivaldiana e mescola hobbit, chitarroni e Shakespeare in un’orgia di dubbio gusto, mentre Angels on Vacation inizia addirittura con un orrido Hallelujah da chiesa. È quindi il turno di A Little Bit of Love e del suo ritornello ultra catchy, che in mano a David Guetta avrebbe fatto sfracelli in classifica. Se questo sia un bene o un male, lascio a voi decidere.

The Garden of Eden e The Sound of Drums giocano con tutti gli stereotipi della leggerezza pop, All This Love ci porta invece direttamente in Irlanda e ci invita tutti calorosamente a buttarci nelle danze. Il finale di Wild at Heart rilancia la mini rock opera figlia di Who e più recentemente dei Green Day, e non lo fa neppure malaccio. Ce n’era bisogno? Ci sarà poi soprattutto bisogno di altri tre episodi di questa saga? Quel che è certo è che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare che i Weezer spesso (forse un po’ troppo spesso) ultimamente amano giocare a fare gli adorabili cazzoni.

Andrea Manenti