Abbandonata la vena sperimentale legata alla black music dell’ultimo album “Peacemeal” (2021), Ron Gallo torna a fare quello che lo aveva portato al successo in periodo pre-pandemico grazie al riuscitissimo “Heavy Meta”: un giusto mix fra sporcizia garage, svogliatezza alla Mac DeMarco e un’ecletticità da vero musicista che lo porta ad abbracciare più generi differenti pur marchiando il proprio suono in maniera inconfondibile e originale.

Già dall’iniziale Entitled Man, il musicista di Philadelphia si riappropria energicamente dei suoni abrasivi e grezzi abbandonati nel suo recente passato. Lo stesso vale per l’irresistibile At Least I’m Dancing, per l’interludio quasi noise di Life Is A Privilege e per il power pop di scuola Paul Collins di Anything But This (presente in doppia versione, la JB un po’ più cinematografica). Abbiamo anche il pop sghembo della title track e di San Benedetto.

Il resto della scaletta si concentra invece sulla ricerca della ballad perfetta. Qui Ron Gallo esplora diversi universi: il Medioriente in Vanity March, la crooner music in Yucca Valley Marshalls e Big Truck Energy e il pop rock debitore di Lou Reed e del contemporaneo Ezra Furman nelle bellissime Can My Flowers Even Grow Here e I Love Someone Buried Deep Inside Of You. Un graditissimo ritorno alle proprie origini per il giovane artista americano.

Andrea Manenti