Ah, il terzo album. Che scoglio per una band! È la prova del nove, l’ago della bilancia che spesso stabilisce il valore di un progetto. Concedendoci un paragone edilizio, potremmo dire che con l’opera prima si costruiscono le fondamenta, con il sophomore si ergono le mura e con il fatidico terzo album si inizia a valutare la solidità della struttura. In questo caso l’edificio sotto i riflettori è un cinema ed è stato eretto con passione e dedizione da un gruppo di ragazzi irlandesi che si fanno chiamare Two Door Cinema Club. Ci lavorano da 6 anni, da quando nel 2010 pubblicarono il loro disco d’esordio, “Tourist History”. Pochi giorni fa è uscito “Gameshow”, terzo album in studio, e adesso la struttura comincia a prendere forma. Sicuramente, nel corso degli anni, è stata parecchio rimodellata. L’evoluzione c’è stata, i ragazzi sono cresciuti e hanno imparato a maneggiare gli strumenti del mestiere. Le chitarrine spensierate del primo album sono un ricordo lontano. Non che fossero un difetto, anzi. Erano il marchio di fabbrica dell’indie pop dell’inizio anni ’10, retaggio della scena alternativa della decade precedente, destinato però a rimanere un fuoco di paglia. I TDCC hanno perseverato e hanno calcato l’impervia strada di “Tourist History” con “Beacon”, secondo disco datato 2012, perdendo tuttavia quella freschezza e dirompenza che sono le caratteristiche fondamentali del genere.
Con “Gameshow” hanno cambiato rotta, hanno scelto di deviare e di lasciare indietro l’indie, mantenendo il pop, pilastro fondamentale della loro costruzione. E nel cantiere del cinema hanno appeso le fotografie delle loro nuove guide: David Bowie e Prince. Loro stessi hanno indicato i due maestri come la maggiore fonte di ispirazione di quest’ultimo progetto. Voler suonare come Bowie e Prince sembra un po’ pretenzioso e altisonante, ma alla fine dei conti l’influenza si sente. E da subito. Il disco apre con “Are We Ready (Wrecks)”: chitarra funky, batteria ridotta all’osso e linea vocale che spesso sfocia in un falsetto, preludio di quello che sarà una costante dell’album. È il primo singolo ed è seguito dal secondo. Due pezzi forti, uno dietro l’altro. Il secondo si intitola “Bad Decisions” e ti catapulta a ballare sul dancefloor con le luci della palla da discoteca che ti si riflettono sul viso. Se fosse uscito negli anni ’80 nessuno avrebbe storto il naso. “Ordinary” continua sulla falsa riga dei primi brani, abbassando leggermente il tono per dare la possibilità di riprendere il fiato. Terminati i 5 minuti di pausa si riparte con “Gameshow”, terzo singolo e brano che dà nome all’album. Forse omaggio ai tempi che furono, è l’unico pezzo fuori dal coro: basso distorto, attitudine indie punk e voce sguaiata stile The Rapture, il tutto condito da un filo di synth. Rientrati nei ranghi con la digressione pop-dance di “Lavender”, si torna a calcare la pista da ballo sulla hit disco-dance “Fever”. “Invincible” è la ballata, il pezzo lento. C’è chi, tutto sudato, si fionda al bar a prendere una bevuta dissetante, mentre le coppie si abbracciano ondeggiando sul palco. Ma ecco “Good Morning”, che segna forse il punto più basso dell’album. Sembra di averlo già sentito e il disco inizia a suonare un po’ ripetitivo. Il synth e il falsetto hanno cominciato ad abbondare. È il momento della serata in cui l’occhio casca sull’orologio e si considera l’idea di levare le tende. “Vabbé, rimaniamo altri cinque minuti”, viene da pensare, “magari succede qualcosa”.
Ma i due brani di chiusura non svoltano la serata. Non che siano malvagi, intendiamoci. “Surgery” e “Je Viens De La”, presi di per sé, funzionano. Hanno un bel piglio, il primo si apre a sonorità house, il secondo ripercorre la strada funky-dance. Ma l’attenzione non c’è più. Tempo scaduto. Peccato. Perché alla fine “Gameshow”è un buon disco pop, ma forse è un po’(p) poco. È una serie di potenziali hit che, schierate una di fila all’altra, dopo un po’ stuccano. E allora, se alla luce di questo terzo album dovessimo riguardare alla struttura edificata dai Two Door Cinema Club, diremmo che la strada che hanno imboccato è quella giusta, che i cambiamenti in corso d’opera e la loro versatilità sono stati apprezzati, ma che manca ancora qualcosa. In questo momento, con una piccola scossa, l’edificio crollerebbe e io di sicuro non andrei a vedere un film nel loro cinema.
Alessandro Franchi
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.