Il diciassettesimo album in studio degli Swans di Michael Gira è un’opera d’arte (non la prima) totalizzante, divisa in due atti e otto movimenti.

The Healers: pazienza biblica (21.42 minuti) cullata da nenie liturgiche con afflato profano (come se Gira giocasse a fare Jim Morrison), premiata a tratti da detonazioni noise che descrivono la cura che appunto, come da titolo, guarisce e restituisce la vita.

I Am a Tower: ipnosi corale femminile, ars declamatoria leaderistica, sprazzi sonori di guerriglia urbana e una conclusione epica e cantabile.

Birthing: 22.20 minuti di capolavoro, fra il rock e la classica, lied pianistici ed esplosioni noise: tutta la bellezza, il dolore e la potenza di un parto, di un atto di nascita e creazione.

Red Yellow: complice anche la durata che non arriva ai sette minuti, è il brano più pop rock del lotto.

Guardian Spirit: mantra ansiogeno marziale.

The Merge: lo spettro freddo dell’elettronica incontra il pulsare ritmico e vitale del blues fuso a un jazz molto free. Nel finale si trasforma in un folk quasi tradizionale, con conclusione dal mood cabarettista.

Rope: suite strumentale resa eterea e impalpabile dall’uso smodato ma non eccessivo dell’e-bow.

Away: foce paradisiaca del brano precedente e perfetta conclusione (alt) pop.

Secondo Gira, “Birthing” sarà la fine del periodo big sound degli Swans, che poi passeranno a qualcosa di più intimo e folk. Non ci resta che attendere, più con la certezza che con la speranza che non ne resteremo comunque delusi.

Andrea Manenti