Inverno Records è l’etichetta di Guido Bisagni, in arte 108, un pittore e writer che ha sviluppato un suo stile peculiare definito da alcuni post-graffitismo, e da noi già intervistato (leggi qui) sul rapporto tra le varie discipline artistiche di cui si occupa. Questo perché Guido non è solo un artista figurativo, ma anche musicale, e prima ancora un appassionato di suoni “out” e “punk” in senso lato. Per questo da alcuni anni gestisce la sua personale label, decisamente underground e dedita a suoni e autori “freak”.
Dall’intervista che leggerete è scaturita una chiacchierata a briglia sciolta non solo su cosa vuol dire portare avanti una piccola etichetta, ma anche sulle motivazioni che possono spingerci a compiere un tale passo. Con derive filosofiche, esistenziali e antropologiche incluse. Dai Crass al Leprotto Milcaro.
A cura di Alessandro Scotti
Guido, da quando esiste Inverno Records e perché hai scelto questo nome?
Allora, è una di quelle cose che ho sempre tenuto a lato, non ho mai pensato di farci qualcosa di serio. Mi è sempre piaciuto fare fanzine e cassette, pensa che ho fatto il primo libretto a 7 anni nel 1985 (le fotocopie me le fece mia mamma ovviamente). Poi sempre da piccolo, in quarta e quinta elementare, mi venne la mania degli Iron Maiden: ovviamente la cosa partì con le magliette che vedevo appese in una bancarella metal che c’era al mercato (negli anni ’80 al mercato di Alessandria c’era un banco che vendeva dischi, magliette metal e borchie!), poi il cugino di un amico mi fece una cassetta con “The Number of the Beast” e “Killers”. Io mi misi a farne altre copie facendo le copertine a mano, disegnando decine di Eddie! Mi sono dilungato, ma questa cosa dovevo raccontarla. Poi negli anni ’90, passando per lo skate, sono arrivato al punk, diciamo che l’inizio è stato quello, il trionfo dell’autoproduzione o del DIY. Era ancora un periodo in cui certe cose erano legate a un rigetto per il guadagno, quindi si faceva tutto al risparmio, ma questo creava un bellissimo movimento trasversale e un’estetica meravigliosa. Quindi, a volte con qualche amico, abbiamo iniziato a fare dei bootleg in cassetta usando nomi assurdi. La prima label credo sia stata la “Bambini Morti Records”, creata da me e Sid, con cui avevamo duplicato due classici HC in cassetta degli anni ’80: “La Notte dell’Anarchia” e lo split Negazione/Declino: “Mucchio Selvaggio”. Poi penso che la prima grande produzione sia stato il demo dei PDM e da lì varie altre cassette di miei gruppi e progetti, sempre negli anni ’90, usando generalmente il nome “Direction” come etichetta. Praticamente la Inverno è nata come Direction a quei tempi lì, con le cassette.
Nel ’99 ho finalmente comprato il masterizzatore per fare il CD degli Stepoff, con cui facemmo più di 300 copie! A pensarci adesso non riesco nemmeno più a chiamarli demo, quei dischi. In ogni caso, visto che avevo il masterizzatore, avevo fatto anche qualche decina di copie di “Larva – Fear of God”, che è stata la prima cosa “ufficiale” che ho fatto come Larva. Poi molte altre cassette, CD-R e fanzine, ma il vero cambiamento è arrivato con la possibilità di fare dischi direttamente su internet. A quel punto mi sono reso conto che il nome Direction non mi diceva niente e volevo qualcosa di più personale. Così, io che non ho mai sopportato la “bella stagione”, ho cambiato il nome in Inverno e ho usato come marchio il simbolo che gli alchimisti usavano per questa stagione, che è bellissimo (è uno dei pochi tatuaggi che ho).
E poi come si è evoluta l’etichetta nel tempo?
Fare dischi online era come un miracolo: nei primi anni era difficile perché c’erano pochi siti che lo permettevano e per scaricare un pezzo ci volevano ore, per questo avevo fatto dei dischi come Larva in formato XM, che tenevano pochissimi k-bites (ho anche fatto un disco in floppy disc come Larva a fine anni ’90). Ma si poteva fare tutto gratis e quindi distribuire la nostra musica gratis, difficile spiegare cosa volesse dire liberarsi dai costi di produzione per gente cresciuta con certe idee! Il mio amico Dottor Pira, che era anche mio coinquilino, lo stava già facendo! Era molto più avanti di me a livello informatico e aveva prodotto la versione online del mio “Fear of God” per la sua label Cervello Meccanico, con cui ho collaborato per anni. Comunque mi è sempre piaciuto creare cose con le mani e ho continuato a fare cassette e CD-R, ma anche libretti. La prima produzione come Inverno è stata infatti un libretto di poesie di Cristina, che oltre ad essere la mia compagna era anche la bassista degli Eyeless. La prima cassetta è stata “Mors 2003” degli Eyeless, infatti, un live che era etichettato sia come Direction che come Inverno, numero di catalogo 0. Comunque in generale per molto tempo è stato il nome con cui creavo le mie autoproduzioni e quelle dei miei amici più stretti, ma negli ultimi anni, con l’avvento di Bandcamp e la semplificazione che questo ha portato, si è allargata un po’ ad altri progetti, prevalentemente della zona, ma non solo. In oltre anche Enrico (Indunda) mi dà una mano moralmente e investendo qualche soldo per alcune produzioni. La cosa principale è che continui ad essere una micro label dedicata a musica (o suoni) e produzioni che mi piacciono e fatte da artisti che vogliono fare queste cose solo ed esclusivamente per il gusto di farle.
Oggi mi pare che il catalogo sia caratterizzato da alcuni punti fissi: musica ambientale noise, 100% digitale, di certo non basata sulla canzone pop, grafica omogenea, autori per lo più amatoriali…
Come ti dicevo è nata come una cosa punk. Punk inteso un po’ come lo si intendeva negli anni ’80-90, dal punto di vista ideale, non dal punto di vista musicale, anzi è una estremizzazione di una visione Crassiana del punk, tanto per dire una cazzata esagerata, hahaha. Quindi non ci sono limitazioni di genere, se non quelle dei miei gusti, ma anche per quello non so, perché amo anche cose solo per il gusto dell’assurdo. In ogni caso, quasi tutti gli artisti che hanno avuto a che fare con la Inverno Records vengono dal giro punk e io considero l’evoluzione verso sonorità più noise, ambient ed elettroniche ma grezze come una evoluzione di quel discorso. È cambiato il mondo e noi invece di avere 18 anni ne abbiamo oltre 40. Per questi motivi è diventato più difficile trovare il tempo per andare in sala prove, per incontrarsi (un punto fondamentale dell’etichetta è anche il fatto di non avere tutto questo entusiasmo per i rapporti umani diretti), ci sono anche sempre meno posti in cui suonare dal vivo, specialmente in Italia, però conosco molte persone che nonostante tutti questi problemi continuano a suonare più o meno in solitaria e anzi si sono evoluti dal punto di vista dei suoni. Mi piacerebbe anche fare cose pop, nessun problema, a suo modo per esempio il progetto Mausi è pop, hahaha. Comunque continuiamo a fare anche micro produzioni materiali in cassetta e CD-R. Per esempio, insieme a Creative Fields di Cecco, abbiamo fatto la compilation “Alessandria Area Post Industriale” per raccogliere alcuni dei numerosi progetti legati alla scena post industriale della zona, in 120 copie numerate in cassetta. Essendo io abbastanza patito di grafica, cerco di tenere una certa omogeneità, per esempio i font e l’uso del bianco e nero su carta colorata per poter fare CD-R da portare ai concerti con la stampantina laser, ma lascio la possibilità agli artisti di decidere se vogliono farsi una grafica loro o mettere più colori, sempre per non avere dei paletti veri e propri. Gli artisti sono tutti amatoriali per ovvie ragioni e per i motivi di cui sopra. Io tra l’altro non ho davvero tempo da dedicare all’etichetta, carico i dischi di notte, duplico cassette e CD-R mentre lavoro… Non riesco a fare di più e va bene così.
Ho notato che c’è anche la tendenza a fare split e compilation, come mai?
Se ci penso, molti dei miei dischi preferiti sono split. Ci sono gruppi che amo che hanno i loro pezzi migliori su split, ma a volte anche su compilation. Generalmente non sono dischi molto vendibili, ma questo è perfetto per un’etichetta a cui non interessa praticamente niente di vendite e ascolti! Il lato migliore di fare cose del genere è di mantenere i rapporti tra amici e di non avere l’impegno di dover fare un disco intero. Altra cosa, per me, che sono il capo supremo dell’etichetta, piace molto farmi venire idee bizzarre come concept per il disco e chiedere ai vari artisti di fare pezzi ispirati a quello. Una delle ultime uscite era quella sulla possibilità reale o meno di viaggiare usando i tappeti volanti, solo tre amici oltre a me mi hanno mandato un pezzo, ma è bello pensare di aver fatto un disco su un argomento del genere.
Torniamo sul formato: è sempre quello digitale o stampi anche su CD?
No, come dicevo prima molti dischi sono usciti in CD-R e cassetta, sempre micro produzioni. Man mano sto cercando di caricare dischi che avevo fatto solo in formato fisico su Bandcamp in modo che non vadano persi per sempre. Da quando ho aperto la pagina su BC ho iniziato una nuova numerazione da 3000 con cui sto anche “ristampando” cose vecchie e dimenticate. Devo dire che, nonostante quello che ho detto prima, mi piacerebbe un giorno riuscire a fare anche un vinile o due, ma non so, per ora va bene così. Chi vuole ci ascolta sul sito senza dover pagare una lira, capita a volte che qualcuno paghi anche i dischi solo per piacere di farlo, quando succede è una soddisfazione! Non per i 3 o 4 euro che arrivano, ma perché vuol dire che qualcuno apprezza l’idea e, devo dire, mi da un minimo di sollievo dalla decadenza sociale che stiamo vivendo.
Le etichette come Inverno mi fanno pensare sia all’indie anni ’90 che all’evoluzione attuale su piattaforme digitali, ma nel tuo caso mi pare più forte la componente underground, non vedo un battage social che fa pensare piuttosto al modo attuale di promuovere una label. Un tuo commento a riguardo?
Sì, ripeto che le radici di un progetto come questo, anche senza pretese e senza una componente politica evidente, affondano in quello che era il sottosuolo “punk” anni ’80 e ’90. Faccio molta fatica a seguire gruppi e forum vari, che poi sfociano sempre nel creare nuove micro scene dominate dai vari “so tutto io” che impongono il loro ego agli altri, che invece cercano di giustificare ogni loro ascolto eterodosso per non essere messi in ridicolo riproducendo le dinamiche sociali più primitive e becere senza nemmeno rendersene conto. Oppure quelli che al contrario devono essere forzatamente sempre più originali degli altri, ma solo per dimostrare di esserlo. Odio queste dinamiche che i social hanno estremizzato. Essendo una label al 100% libera da guadagni reali (anzi ci abbiamo perso dei soldi tutte le volte che abbiamo fatto qualche uscita fisica) non ho interesse a perdere tempo e sanità mentale su Facebook per promuovere. Ci fa piacere quando qualcuno arriva sulla nostra pagina, generalmente sono anche persone “selezionate naturalmente”. Sarebbe bello in effetti creare una label in modo più “serio”, nel senso che la vedrei sia come un bel lavoro che come un’attività socialmente utile. Promuovere certi artisti e certa musica è proprio una cosa di cui il mondo, e in particolar modo questo Paese, avrebbe bisogno oggi. Magari in una delle prossime vite mi dedicherò a quello, ma come ben saprai la probabilità di rinascere in un corpo umano è una su miliardi e quindi di fare una label quando dovessi essere un ragno mi interesserebbe ben poco credo. Per non parlare della situazione ideale in cui dovessi riuscire a liberarmi dal ciclo di rinascite, allora la cosa non mi toccherebbe proprio più. In ogni caso ho sempre ammirato etichette come la Crass Records ovviamente, ma ancora di più la Little Indian (One little Independent Records), che pur avendo le radici nel punk e nell’autoproduzione si è evoluta in tutti i sensi, soprattutto artisticamente, e si è ingrandita senza mai diventare major, ma allo stesso tempo senza restare imprigionata in certe dinamiche. Ci vorrebbero più situazioni di quel genere al mondo per contrastare la deriva incentrata sul profitto come unico fine possibile che stiamo vivendo.
Iverno Records quindi è soltanto un hobby oppure un progetto coerente con la tua produzione artistica, che per te è anche un lavoro?
Ecco mi fa piacere rispondere a questa domanda. Io sono un’artista a tempo pieno da ormai diversi anni, che è un sogno da un lato ma un’attività iper impegnativa e devastante dall’altro. Ho sempre tenuto in grande considerazione la mia libertà artistica, ma quando questo diventa il tuo lavoro nascono problematiche legate all’aspetto economico, alla coerenza artistica e a tante altre menate che portano preoccupazioni e ansie e che molte volte vanno ad incidere sul piacere che si ha facendo appunto “arte”. Il progetto Inverno per me è sia una valvola di sfogo, sia una specie di bandiera con cui dimostrare che fare cose solo per il gusto di farle senza pretese economiche, di fama o altro, voglio che resti solamente una cosa fatta per piacere e sperimentazione. Non so, è una goccia nel mare, ma a 43 anni e in quest’epoca arrogante penso sia una cosa doverosa “buttare via” un po’ del mio tempo in questo modo! Le cose assurde sono sempre le più importanti.
Come ti trovi nella veste non di artista ma di promotore, dato che in questo caso il tuo primo ruolo è quello di gestore dell’etichetta?
Guarda, da un lato per anni è stato un modo per auto produrre le mie cose, quindi in pratica la mia posizione era doppia. Da quando ho iniziato a “produrre dischi di altri artisti” io mi limito a dare una linea generale, che tra l’altro è una cosa naturale perché non è che l’etichetta possa offrire cose incredibili ai vari musicisti, quindi quello che capita è che a volte parlando con qualche amico o conoscente scopro che ha registrato dei dischi e che sono pronti e messi da parte, ma che probabilmente andranno persi nel nulla. Allora dico: “Per Taranis! Mandami i pezzi che li pubblichiamo su Inverno!”. Forse l’unica cosa che mi sento di dire è che il mio ruolo è quello di fare un lavoro di catalogazione di dischi, per me notevoli per vari motivi, di artisti unici che però non amano tutto il contesto e il contorno che c’è attorno alla musica. Mi piace pensare che i tanti progetti assurdi, fuori dalle mode, a volte inclassificabili e quasi sempre legati alla zona dell’Alessandrino possano restare ascoltabili, ma anche in qualche modo rintracciabili negli anni a venire. Sarebbe proprio un peccato che una zona come la nostra, che ha sempre ha avuto una concentrazione altissima di artisti strani, bizzarri e originali, ma poco conosciuti per la cronica introversione tipica dei suoi abitanti (qualità che va scomparendo ma che amo molto) e per la mancanza di budget e di pubblico di una città di provincia, stia completamente sparendo nell’oblio. Così per lo meno qualcosa resterà, almeno in parte spero.
Che consiglio daresti a chi volesse aprire la sua label?
Oggi fare una cosa del genere è talmente facile che è ridicolo! Basta avere voglia di farlo! Non bisogna nemmeno sapere programmare una pagina web o sbattersi a duplicare cassette e CD, c’è solo da aprire una pagina su Bandcamp o qualcosa di simile. È brutto doversi appoggiare a una piattaforma del genere che poi in definitiva esporta sempre un tipo di cultura incentrato sugli Stai Uniti, ma è veramente comodo. Non sono di certo quello giusto per dare dei consigli in questo campo, però facendo un parallelo con quella che è la mia attività principale è che rispetto alla mia generazione i giovani di adesso abbiano sempre delle aspettative, spesso esagerate. Probabilmente è un peso devastante creato dalla società odierna, che grava su di loro. Questo fa sì che i nuovi artisti lavorino (a aprano una label) non per il piacere di farlo, ma per arrivare da qualche parte, per averne un ritorno. È quello il problema. Bisogna fare le cose per il piacere e per la passione di farlo, se non è così, sarà tutto faticoso. Se una cosa non è piacevole, nascono problemi con se stessi e con gli altri per giustificare i propri fallimenti. Il punto è: se nemmeno fare arte o musica è piacevole, che senso ha farlo? Quindi, non solo per aprire una label (che come dicevo prima in questo campo non posso proprio permettermi di dare dei consigli), ma per ogni tipo di attività, il consiglio è di farlo quando si sente di volerlo davvero fare, farlo e basta senza aspettative, per il piacere di creare qualcosa.
La generazione X ha paura di invecchiare e quindi continua a produrre arte oppure è una sana evoluzione rispetto al percorso esistenziale gioventù VS vita adulta che è più o meno sempre esistito?
Penso in parte di avere già risposto nella domanda qui sopra. Certo, c’è la paura di invecchiare, penso sia una cosa da cui non si scappa. Penso anche che il mondo, da quando è iniziato il nuovo millennio, stia cambiando troppo in fretta, ma non solo per noi, è proprio una cosa reale. Pensa solo ai cambiamenti climatici! Culturalmente l’avvento di Internet è stato una rivoluzione che ancora nemmeno gli antropologi sono riusciti a capire davvero, non siamo pronti né a livello fisico né a livello mentale per cambiamenti così veloci, non si può approfondire, manca del tutto il tempo per la contemplazione. La generazione X è stata l’ultima generazione del ‘900. Non ci sono solo gli smartphone, noi leggevamo ancora i libri di carta, come avevano fatto tutti per secoli, indistintamente. Parlando con amici e parenti che insegnano vengo costantemente aggiornato sul fatto che non solo le nuove generazioni non riescono a leggere un libro, ma non riescono a vedere un film intero. Ovviamente sto generalizzando, ma purtroppo se si parla di generazioni in generale si è costretti a generalizzare. Ora anche le serie e addirittura i documentari, per quanto riguarda quella fetta di gente che in teoria è interessata ad approfondire certi argomenti, una minoranza quindi, stanno venendo sostituiti da micro clip e micro documentari, perché la soglia di attenzione si è accorciata ancora, infatti adesso c’è TikTok. Io TikTok l’ho scoperto da poco e non lo capisco, non capisco a cosa possa servire, ma la nuova generazione si trova lì. Questo cosa mi dice? Che c’è un divario enorme tra me e loro, anche per me che cerco di capire e di seguire quello che succede di nuovo. Generalmente ho notato che quelli che sminuiscono questo divario non sanno nemmeno che TikTok e tutto questo esista. Nella pratica questo porta diverse situazioni. Per esempio, la società oggi è complicatissima, sia per motivi tecnologici, sia per diversificazioni sociali, sia perché, di fatto, le frontiere virtuali non ci sono più e quindi sappiamo tutto quello che succede nel mondo, ogni cosa si confronta, anche situazioni sociali lontanissime, isolate per millenni, e che hanno alle spalle intere epoche di culture completamente diverse. È un casino. A tutto questo però bisogna dare spiegazioni e soluzioni semplicissime, che stiano in una clip di qualche minuto o qualche secondo. È impossibile ovviamente, quindi si arriva ad una situazione di giusto/sbagliato – bianco o nero con esiti spaventosi. Non che questo non sia mai successo, ma siamo in uno di quei periodi storici lì, pericolosi, e soprattutto siamo in troppi al mondo, ma veramente troppi, è una bomba che sta per esplodere.
Detto questo, tornando alla musica, io ti scrivo queste cose perché per esempio, ai miei tempi (hahahaah) se leggevo un’intervista a Jenesis P.Orridge, per esempio, o non so, anche a gente come Ian Mackaye, per dirne due agli opposti ma particolarmente illuminati e tutto sommato conosciuti, o anche una celebrità come Battiato per restare nel nostro paese, o un personaggio controverso ma comunque conosciuto come Giovanni Lindo Ferretti (senza andare a scavare nell’underground vero), non ti davano mai risposte semplici, anzi magari dopo averle lette ci capivo ancor meno di prima, ma mi facevano pensare o addirittura arrabbiare e ad andare a cercare e pensare ancora, cambiare il mio punto di vista. Come avrai capito sto riflettendo su cose a cui penso tutti i giorni e al momento sono arrivato alla “conclusione” che star lì a chiedermi se sono un nostalgico, se sono vecchio e non capisco abbastanza i giovani, sia tempo sprecato. La cosa importante è pensare nel modo più libero possibile, cercare di farsi sempre tante domande, fare ricerca e sperimentazione, fuggire sempre dal pensiero di parte, bianco o nero, e possibilmente cercare sempre di trovare una soluzione pacifica a qualsiasi tipo di problema. Se continuassi a fare la stessa musica che facevo a 20 anni non sarei un vero punk e nemmeno coerente, sarei un mentecatto conservatore che pensa di essere un vero punk. Se facessi la stessa musica che fa un 20enne adesso sarei un 43enne che vuole scimmiottare i giovani senza avere i motivi esistenziali per fare quella roba lì. Cosa deve fare un 43enne adesso? Non lo so, io cerco di seguire quello che ho fatto fino adesso cercando di evolvermi e sperimentare, magari anche riprendendo cose di 20-40-100-2000 anni fa o guardando quello che fanno i 20enni di adesso. Mi sono spiegato? Detto questo, sono in un periodo in cui se riesco ad avere mezza giornata per scrivere cerco di dilungarmi per approfondire il più possibile, te ne sei accorto? È un buon modo per staccare dal mio lavoro e dalle mie ansie.
Come promuovi le uscite? Usi tattiche particolari o ti limiti a concentrarti sulla pubblicazione sul sito?
Non siamo una label molto commerciale, quindi direi non molto. C’è Alessandro (Spot/Exitsix) che ultimamente mi dà una mano con qualche post, ma anche lui è un over 40, quindi siamo sempre lì come testa. Io con il lavoro che faccio devo essere anche un buon promotore di me stesso e quindi le mie energie per questa cosa vanno tutte là. In ogni caso le forze che si usano per fare promozione vengono rubate all’aspetto artistico e, come dicevo sopra, il progetto Inverno voglio tenerlo libero da questo genere di rotture di balle. Una cosa divertente, a livello di promozione, è quello di realizzare ancora flyer e posterini fotocopiati e darli e attaccarli in giro. Penso che non funzionino assolutamente a livello commerciale, ma è molto bello esteticamente ed è divertente farli. Un paio di anni fa, avevo stampato dei fogli in cinese da attaccare a Chinatown a Milano (dove vivo saltuariamente). Avevo messo un QR code in modo da avere un collegamento diretto con la pagina bandcamp e poi l’illustrazione di un diavolo antico, vermi e scritte tradotte in cinese con google che dicevano: “stregoneria”, “musica inverno”, “bellissimo”… cose che poi alla fine ho sempre fatto. Il bello di vivere in quest’epoca è che ci sono infinite possibilità, come appunto un QR code o il traduttore di google, che mescolate con le tecniche degli anni d’oro danno un risultato estetico eccezionale, è praticamente il futuro prossimo cyberpunk che ci aspettavamo da ragazzini. Dal punto di vista sociale mi colpiva per esempio il fatto che tutti parlino sempre di tolleranza e inclusione, ma poi, stando a Chinatown, vedo che i cinesi stanno con i cinesi e gli italiani nei bar italiani, anche quelli iper di sinistra iper corretti che poi però nella pratica stanno bene con i loro simili. Il massimo sarebbe che un cinese mi scrivesse per pubblicare i suoi pezzi su Inverno! O sotto casa mia in Alessandria, con altri stranieri, mi aspetto che smettano di spacciare e si mettano a fare musica noise araba pacifista, magari femminile, quello sarebbe un buon punto di partenza. Se sto a Chinatown devo coinvolgere tutti, anche i cinesi, con quello che faccio, facendogli sapere che faccio e produco musica incomprensibile e fastidiosa, provocandoli forse, come farei con gli italiani con diavoli e frasi assurde. Anzi ho in mente di produrre un disco al mio gatto, e in futuro lavorare con qualche insetto, visto che la Inverno Records non è una label specista. Quindi la promozione di Inverno è questa principalmente: fotocopie e carta come nell’81 con codici a barre e siti internet, usando il traduttore di google per scrivere frasi insensate con degli ideogrammi sconosciuti che promuovono i nuovi dischi.
Hai mai pensato di fare anche da produttore o remixare alcuni dei nomi del tuo catalogo?
Non ho mai pensato di fare il produttore, ho fatto alcuni remix come Larva negli anni, ma niente di più. Invece stiamo cercando di contattare il Leprotto Milcaro per farci fare dei remix delle uscite più di successo. Purtroppo è un personaggio schivo di cui nessuno ha notizie da anni, vedremo se ce la faremo.
Mi racconto in una frase: vengo dal Piemonte del Sud
Il primo disco che ho comprato: “New Picnic Time” dei Pere Ubu è il primo disco che ho comprato e che mi ha segnato. Non è il primo in assoluto ma facciamo finta di sì.
Il primo disco che avrei voluto comprare: qualcosa dei Pink Floyd, non ricordo cosa però.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: la foto della famiglia di mia madre è in un museo, mia madre è quella in fasce.