Avete mai fantasticato su una persona osservandola di spalle? Così, mentre la vedete passeggiare in lontananza? Bene. C’è un’immagine di Stu Larsen che si presta perfettamente a questo banale esercizio. È una fotografia che lo stesso cantautore ha pubblicato su Facebook poche settimane fa. Lui si intravede soltanto di profilo. Attraversa un piccolo corso d’acqua lungo un tronco d’albero sospeso fra due rocce. I capelli lunghi biondi sbucano dal solito cappellino e cascano in avanti come le orecchie di un cocker. Dove sta andando questo benedetto uomo? A cosa sta pensando?

La risposta è nei dieci brani che compongono “Resolute”, il secondo LP del cantastorie australiano. Un disco sul viaggio, in sostanza. Ma di dischi sul viaggio ce ne sono a bizzeffe. “Highway 61 Revisited” di Dylan, “Graceland” di Paul Simon, per citare gli impareggiabili. Quello di Stu Larsen, però, fa reparto da solo. È un viaggio diverso, per certi versi più complicato e intimo. Non è un affresco, ma pura esperienza. L’esperienza di un uomo nato 37 anni fa nella piccola cittadina di Dalby, a tre ore di macchina da Brisbane. Cresciuto nel verde, negli spazi aperti, dove la massima espressione di civiltà è la pompa di benzina appena fuori dal centro, questo moderno folk singer con l’aria da pastore non ha mai rinnegato le proprie radici.

Oggi vive da nomade, un ruolo al quale tiene molto (“Vagabond” è il titolo del suo primo disco). Lo puoi trovare in Spagna o in Giappone, seduto in un caffè ad Amsterdam o sdraiato su un prato in Scozia. Fa lo stesso. Se lo osservi da dietro, l’idea non cambia. Nell’immagine che Stu Larsen riflette di sé, ciò che conta è la proiezione e non la meta. Un mondo lontano dagli occhi e vicino al cuore, in cui al minimo rumore si voltano tutti a guardarti.

E quanto rumore deve aver fatto il giovane Stu quando a 14 anni, un pomeriggio qualunque, ricevette in dono dalla madre la sua prima chitarra? Da allora non l’ha mai abbandonata. Anzi, ci si è fidanzato. Chicago Song, il primo singolo estratto, è solo in apparenza una canzone d’amore per una donna. In realtà è una splendida ballata di folk bucolico, sullo stile del maestro Willie Nelson, dedicata alla sei corde. La chitarra come una “ragazza”, una “partner in crime”, con cui lasciarsi cullare da qualche parte nell’universo, non importa dove (We were dancing in the street / It didn’t matter where we were / As long as we were together / We could always feel the beat).

Un concetto, quest’ultimo, che torna in I Will Be Happy and Hopefully You Will Be Too, uno dei brani più teneri e significativi dell’intero album. Questa volta, però, le parole di Larsen sono rivolte a una ragazza in carne ed ossa. Perché la condivisione è tutto, se a cantare con te una canzonetta da nulla è la persona che un giorno, senza preavviso, hai iniziato ad amare per il suo sorriso (I wanna do karaoke / And hear you sing a song or two / It doesn’t really matter if you can’t stay in tune / As long as I’m with you).

La copertina del disco

Le radici, dicevamo. A 23 anni Stu Larsen sembra sul punto di perderle. Si trasferisce a Toowoomba, dove inizia a esibirsi da solo vincendo un contest. La vittoria gli dà il coraggio di autoprodursi. Nel 2013 registra un EP con l’armonicista giapponese Natsuki Kurai e l’anno successivo pubblica il suo esordio su lunga durata. Per l’occasione si avvale della collaborazione dall’amico Passenger, al secolo Mike Rosenberg, stella dell’indie-folk inglese. È l’inizio dell’ascesa, l’inizio del viaggio. Nel cuore, però, c’è sempre l’Australia, il suo passato da commesso in un negozio di alimentari e poi da impiegato in una banca. Going Back to Bowenville, quinta traccia di “Resolute”, racconta infatti di un ritorno alle origini. Bowenville è un paesino di 300 anime a pochi chilometri da Dalby. È qui che il piccolo Stu scorrazzava solitario tra la ferrovia e il pratone della riserva. Un bambino timido ma risoluto. Adulto prima del tempo.

Ascoltate anche What If e Far From Me. Ascoltate tutto il disco. Poi provate a riguardare quella fotografia e fantasticate di nuovo. L’effetto di attribuzione, alla fine dell’album, ha una forza dirompente. L’idea che ci facciamo di Stu Larsen, il nostro disperato tentativo di spiegare causa ed effetto del suo lento incedere sulle acque di quel fiume, si riassume in By the River, l’ideale catarsi di “Resolute”. Scritta in perfetta solitudine, il lento fluire dell’acqua a far da pacere nell’eterno scontro fra l’alba e il tramonto, la vita e la morte. Adesso la fotografia, come la musica, sembra rivelare la propria essenza. Non c’è un luogo in cui andare, non c’è un percorso da compiere. Il viaggio di questo benedetto uomo sta tutto in un passo. In quella gamba che da sotto i bermuda blu lo spinge in avanti verso il bosco fitto fitto.

Paolo