Autunno, tappeti di foglie secche sui marciapiedi. L’umidità ti assale, il cielo grigio schiaccia lo sguardo a terra. Sarebbe il momento di sfoderare l’intera discografia dei Fleet Foxes. Oppure chessò, un Elvis Perkins avvolto tra le coperte morbide, un Bill Callahan da tisana al tarassaco, un classico Neil Young, così, davanti a una cesta di caldarroste fumanti. Tutto vero. Non nego di averlo fatto più volte, in questi giorni, atteggiandomi da boscaiolo nella luce soffusa di una lampada Ikea. Però dai, a me piacciono i suoni ruvidi, la gente che urla, le casse che vibrano. E chi come me ha questi gusti, diciamocelo, un po’ grezzi, sa bene che ogni tanto, anche nella stagione dei risotti, ha bisogno almeno di uno sfogo quotidiano. Un rifugio sicuro in cui picchiare la testa contro il muro senza essere giudicati.
Il mio rifugio, in questo autunno casalingo tristemente targato 2020, ha un nome ben preciso: Stiff Richards. Trattasi di una giovane band australiana (Melbourne, per la precisione) capace di risalire la corrente del glorioso garage-punk di una quarantina d’anni fa, forse di più, soltanto per il gusto di sbatterti sul piatto un disco che non ha nulla da invidiare a qualche collega ben più noto.
Beh, di loro si sa poco. Qualche migliaia di ascoltatori sulle piattaforme streaming (seimila al momento, manco l’ultimo degli it-popper), una vecchia intervista da sbronzi sepolta tra i contenuti di una webzine locale, recensioni entusiaste di qualche vecchio rocker (per lo più straniero) e nulla d’altro. Eppure ho la sensazione, ma potrei facilmente sbagliarmi, che questi cinque squinternati abbiano tutte le carte in regola per farsi strada, quantomeno nella loro nicchia.
“State of Mind” è il loro terzo disco. Nemmeno un anno fa avevano dato alle stampe “DIG”, una scheggia di barbaro punk ‘n’ roll piuttosto notevole. Questo nuovo lavoro si discosta lievemente dal predecessore, per riappropriarsi dello stile più casalingo, e per certi versi più melodico, dell’omonimo album d’esordio del 2017. All’interno ci troverete una dose massiccia di rabbia, una voce heavy blues da raschietto alla gola, tanta chitarra come da tradizione e un basso incalzante sempre in prima linea.
L’intero disco è incardinato sui binari affilati del Detroit Sound dei bei tempi, con rimandi neanche troppo velati agli MC5 e soprattutto agli Stooges di “Raw Power” (Talk, Going Numb). Qua e là sembra anche di riascoltare i migliori The Hives o i Thee Oh Sees più garage, tanto per citare i più noti. Ma in un genere che per sua natura offre poche variazioni sul tema, a fare il gioco delle assonanze non la smetteremmo più. Poco importa, insomma, non è certo questo il campo in cui per vincere serve un buon fantasista. Qui contano le motivazioni, la prestazione fisica e un cuore grosso così. Connotati che agli Stiff Richards non sono mai mancati, almeno per ora. Brani come Point of You e Mr. Situation sono lì a dimostrarlo.
Quello che voglio dire è che in alcuni momenti della giornata questo “State of Mind” potrebbe piovervi addosso come manna dal cielo. In un’epoca in cui (per fortuna) i suoni più estremi sembrano attraversare una fase di buona salute, per non dire di moda, i misconosciuti Stiff Richards portano alta la bandiera della tradizione. Laddove la nuova ondata britannica (Idles, Shame, Murder Capital) procede con ottimi risultati seguendo la rotta del post-punk, questi nuovi alfieri australiani corrono spediti lungo la stessa strada, in modo altrettanto efficace, ma nella direzione opposta. Quella in cui al traguardo campeggia la scritta “proto-punk”.
Bene, per ora è tutto. Adesso fatemi un piacere. Gettate via le coperte e finite quelle caldarroste. Mettete Got it to Go degli Stiff Richards, alzate il volume di un paio di tacche e scatenate l’inferno. In casa, si intende. Ma immaginate cosa dev’essere quando potremo ascoltarla dal vivo.
Paolo
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.