Il quinto album degli Spirit of the Beehive, You’ll Have to Lose Something, arriva dopo tre anni di attesa dal precedente Entertainment, Death, che aveva fatto breccia nel cuore di fan e critica con la sua fusione di sperimentazione elettronica, noise rock e introspezione psicologica. Se da un lato, quest’album segna un ulteriore passo nel percorso evolutivo della band, dall’altro mantiene la stessa essenza che l’ha resa una delle realtà più intriganti e irriverenti del panorama musicale odierno. Ma c’è qualcosa di diverso questa volta: una maggiore sobrietà nella scrittura, una ricerca di equilibrio tra l’intensità sperimentale che da sempre li caratterizza e una forma più accessibile, anche se mai banale.
Un Album in Transizione
Il titolo You’ll Have to Lose Something suggerisce già il tema centrale del disco: il cambiamento. La paura di perdere qualcosa di significativo nel processo di trasformazione, che sia una parte di sé o una condizione precedente della vita. Questo concetto permea l’intero album, dalla complessità delle sovrapposizioni sonore alla semplicità apparente di alcune canzoni più pop, fino alle riflessioni più intime dei testi.
La genesi dell’album non è priva di contrasti: sebbene la rottura sentimentale tra i membri fondatori Zack Schwartz e Riva Ravede (entrambi ancora parte del progetto insieme a Corey Wichlin) non sembri aver influenzato la creatività del gruppo, You’ll Have to Lose Something segna una fase in cui l’approccio musicale sembra riflettere un equilibrio fragile, come il passo incerto tra la rivelazione e la perdita.
La Dualità tra Sperimentazione e Pop
Fin dal primo brano, The Disruption, il disco si presenta con tutta la sua irruenza. L’inizio, quasi claustrofobico per via dei continui cambi di ritmo e di melodie, sembra un chiaro richiamo alla tradizione del gruppo, fatto di aggiunte e sovrapposizioni in stile “cut-up”. La canzone non lascia spazio a nessuna linearità: archi, fiati, distorsioni vocali e improvvisi colpi di batteria creano un paesaggio sonoro frammentato ma incredibilmente affascinante. Tuttavia, come da promessa, il brano lascia presto spazio a qualcosa di più meditativo e morbido, un contrasto che si fa subito evidente con Stranger Alive. Questo pezzo è una transizione perfetta: l’intensità emotiva della parte iniziale lascia il posto a un ritmo a marcetta e a una melodia pop che scioglie le tensioni, introducendo una dimensione più malinconica e riflessiva, ma mai priva di quella sottile inquietudine che ha sempre caratterizzato la band.
Questa alternanza tra dissonanza e dolcezza è il cuore pulsante dell’album. Mentre The Disruption e Stranger Alive segnano la fase più sperimentale del disco, canzoni come Let the Virgin Drive mostrano il volto più accessibile degli Spirit of the Beehive. Questa traccia è una vera sorpresa: una canzone pop destrutturata che mischia sonorità city pop, shoegaze, folk-rock e persino un accenno di psichedelia anni ‘60. Il brano sembra un incontro casuale di mondi diversi, ma proprio per questo suona incredibilmente naturale nella sua collocazione all’interno dell’album. La sua energia e la sua bellezza celano una vena oscura, ben espressa nel testo e in alcune sezioni orchestrali che richiamano un’atmosfera enigmatica, quasi da film noir.
Le Tracce che Dividono la Luce dall’Oscurità
Da questo punto in poi, You’ll Have to Lose Something si evolve in modo imprevedibile. Sorry Pore Injector introduce elementi jazz e elettronici, creando un’atmosfera claustrofobica e inquietante. Questo brano sembra quasi un esperimento, come se la band stesse cercando di capire come unire il caos sonoro con la bellezza sottile di una melodia. Non è una canzone facile, ma è precisamente questo il punto: gli Spirit of the Beehive non cercano di compiacere l’ascoltatore, ma piuttosto di sfidarlo a seguirli nel loro viaggio sonoro.
Anche Found a Body segue questa linea, ma con una dimensione più minimale ed elettronica, dove tastiere e batteria disegnano paesaggi sonori scarni e inquietanti, perfetti per la riflessione sul corpo e sulla perdita. Sun Swept the Evening Red e Something’s Ending continuano questa esplorazione dell’elettronica minimale, ma con una maggiore intensità emotiva che prepara il terreno per I’ve Been Evil, dove il contrasto tra l’alt-pop ordinato e la ricchezza di textures sonore raggiunge il suo apice. Questa canzone è un’ulteriore conferma della capacità degli Spirit of the Beehive di giostrare con i generi musicali, passando dal pop elettronico a una forma di alt-rock che non è mai totalmente prevedibile.
Un Concedersi alla Melodia
Non mancano, però, momenti di pura dolcezza e malinconia, come 1/500, un brano che sembra rappresentare la sintesi di tutte le sfumature esplorate fino a quel momento. Qui, gli Spirit of the Beehive si abbandonano a una cavalcata di armonie che incantano e, allo stesso tempo, turbano, proprio come l’incertezza di ciò che è destinato a scomparire nel tempo. Questo è il momento in cui il caos si placa, lasciando spazio alla riflessione.
L’album si conclude con Earth Kit, un brano che richiama la sensazione di essere arrivati alla fine di un lungo viaggio. La sua atmosfera rarefatta e delicata chiude il cerchio, lasciando l’ascoltatore con una sensazione di vuoto e quiete, come se fosse arrivato al termine di una fase della propria vita, pronto ad accettare ciò che è stato perso e a fare spazio a ciò che verrà.
Conclusioni
You’ll Have to Lose Something è un disco che sfida le convenzioni e si fa beffa delle aspettative. È un album che gioca tra il caos e la calma, tra il rumore e la melodia, e che trova il suo fascino proprio nella capacità di sorprendere l’ascoltatore ad ogni passo. Con un approccio che mescola elettronica, rock alternativo, pop destrutturato e momenti di pura sperimentazione, gli Spirit of the Beehive si confermano una band fuori dagli schemi, capace di riflettere, attraverso il suono, le incertezze e le transizioni della vita. Un disco complesso, ma che, proprio per questo, risulta incredibilmente affascinante.
Non perdeteli live lunedì 27 ottobre all’arci Bellezza di Milano oppure martedì 28 al Covo Club di Bologna.

Smemorato sognatore incallito in continua ricerca di musica bella da colarmi nelle orecchie. Frequento questo postaccio dal 1998…
I miei 3 locali preferiti:
Bloom (Mezzago), Santeria Social Club(Milano), Circolo Gagarin (Busto Arsizio)
Il primo disco che ho comprato:
Musicasetta di “Appetite for Distruction” dei Guns & Roses
Il primo disco che avrei voluto comprare:
“Blissard” dei Motorpsycho
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Parafrasando John Fante, spesso mi sento sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo, del terribile significato della sua presenza. Ma poi metto in cuffia un disco bello e intuisco il coraggio dell’umanità e, perchè no, mi sento anche quasi contento di farne parte.
