Alle porte della Brexit, Ken Loach è tornato più combattente che mai. Ad 83 anni suonati, ha girato un film che scava nelle piaghe degli orrori della società moderna ed ancora una volta orienta verso la giusta via, ovvero quella dei diritti civili. In un clima, che drammaticamente richiama quello per cui si era ringraziata la signora Tatcher, Loach e il proprio storico sceneggiatore Paul Laverty, danno vita ad un film solido e dalla struttura magistrale, dove nulla è scontato o superfluo. Il tema è quello della disumanizzazione dei lavoratori, delle forme fasulle di franchising che si rivolgono unicamente allo sfruttamento umano, illudendolo di facili guadagni ma privando della possibilità di vivere una vita minimamente degna di tale nome. Il regista critica le grandi società, che pensano solo alla produttività, dove un lavoratore è lo strumento di un mondo governato dalla tecnica più miope ed avida. Una tecnologia disumanizzante alla quale tutti noi siamo asserviti (come consumatori o dipendenti), come disperati ingranaggi di un capitalismo che distrugge la civiltà. Anche il lavoro di Abby, moglie di Ricky, che guida un furgone illusoriamente di proprietà (di cui paga tutti i costi a vantaggio della società da cui dipende), lavora come badante e anche lei, che svolge il lavoro più umano che ci sia, è sfruttata, costretta a lunghi spostamenti non retribuiti, sfruttata dalle agenzie private che non danno alcuna garanzia e pensano al proprio interesse.
In questo universo divorato dal lavoro nessuno ha più tempo per dedicarsi ai propri affetti, alla famiglia, per non dire a se stessi. Pur cercando in tutti i modi di restare unita, la famiglia di Abby e Ricky si sgretola inesorabilmente sotto la pressione delle richieste di un sistema che restringe le vite e l’umanità di tutti e tutti ne paghiamo il prezzo. Altro elemento è la tecnologia che divora i rapporti di carne e sangue, dai richiami al sistema dei sindacati, che non scendono più in piazza e sono sempre più informatizzati, al cellulare, di cui siamo vittime, schermati in illusorie relazioni racchiuse in un device (come Seb figlio incompreso e che a sua volta non comprende, ben inserito nel clima di stanchezza ed incomunicabilità di una famiglia alla deriva). Loach si affida allo stile di recitazione asciutto e sincero dei protagonisti, che nella vita reale sono davvero un guidatore di furgoni e un’insegnante di sostegno, con una breve carriera attoriale alle spalle, per far interessare ancora di più il pubblico alla vicenda, che riguarda tutti noi.
Un film necessario, combattente, attualissimo (come non pensare anche a Death Stranding di Hideo Kojima, videogame diventato un culto appena uscito), lontano dall’enfasi accattivante di Bread and Roses. Per renderci più liberi, di riflettere e di scegliere. Da non perdere.
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Nome e Cognome: Demente Colombo
Mi racconto in una frase: strizzacervelli con un cuore di cinema
I miei 3 locali cinema preferiti: Anteo, Apollo, Silvio Pellico di Saronno.
Il primo disco che ho comprato: Cross Road (Bon Jovi)
Il primo disco che avrei voluto comprare: Tapestry (Carole King)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Quando sono triste guardo Zoolander e il mondo mi sorride.