Da circa dieci anni Adrien Brody sembrava un eroe minore, una stella che stava perdendo luminosità. Quale errore, il nostro, ignari che si stesse preparando al ruolo della vita, anche superiore all’uomo spezzato de Il Pianista.
The Brutalist è apparso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, con le sembianze di un gigante spaventoso, con tutta la grandezza di opere della vecchia Hollywood. Con i tempi di Via col Vento, è il lungo sogno di un regista finora minore, comparso come una fiamma in anni dove il cinema cerca di accattivarsi lo spettatore da divano, snaturando l’esperienza cinematografica.
Nelle sue 3 ore e mezza con intervallo, The Brutalist spaventa l’avventore, ma il cinema è fatto della stessa sostanza dei sogni, rapisce gettandoci in un viaggio onirico nella storia narrata, con l’arma della similitudine e degli specchi; solo così un film indipendente può trasformarsi in un culto.
Un film a modo suo economico, girato in pellicola, in 70 mm, granitico nella narrazione, che nella propria crudezza e a volte violenta ambiguità mantiene l’attenzione dello spettatore accesa come in un thriller, con colpi di scena e scelte registiche (le inquadrature inziali pazzesche) da fuoriclasse.
La sceneggiatura, scritta da Corbet con la moglie Mona, è una scatola cinese, in cui il nucleo della storia viene svelato lentamente, con un movimento a togliere, smontando apparenti evidenze. Come si narra con verosimiglianza la storia di un architetto celebre, in realtà mai esistito, così le relazioni tra i protagonisti si basano su un’ambiguità ferale, in cui solo via via si svelano i ruoli. Laszlo Toth e Lee Van Buren avviano una guerra in cui i ruoli di dipendenza saranno continuamente invertiti e sabotati.
L’estetica del film, sostenuto dall’interpretazione contenuta e gigantesca di Brody, apparentemente manierata, oppone l’immensità degli spazi americani alle lapidarie e ristrette dimensioni dei campi di sterminio, dove è solo iniziato il viaggio agli inferi del protagonista. Magnifica la parte nelle cave di marmo, dove cadono le maschere e compare thanatos, dove i due uomini si muovono tra stele o lapidi dipinte dai colori della terra e scolpite dagli uomini.
In tutto il film il rapporto tra eros e thanatos si confonde, nell’esserci, che muta in annullamento di sè, in viaggi disumanizzanti verso ideali più elevati, dove poter raggiungere la propria reale essenza (come nelle altezze del mausoleo progettato da Laszlo).
The Brutalist racconta con un linguaggio estetico, come il riscatto e l’ascesa non siano garantiti a tutti e di come il diverso da noi sia visto con sospetto e comunque prevaricato con abuso ed inganno, anche se migliore di noi.
Se volete vedere un film imperdibile che diventerà un culto, che parla dell’umanità tutta e della civiltà che dobbiamo continuare a rincorrere, non spaventatevi per la sua durata monumentale, che vi farà sentire più vivi del binge eating di qualsiasi serie su mostri o chef.
Inutile dire per quale attore tiferò agli Oscar.
Il Demente Colombo

Nome e Cognome: Demente Colombo
Mi racconto in una frase: strizzacervelli con un cuore di cinema
I miei 3 locali cinema preferiti: Anteo, Apollo, Silvio Pellico di Saronno.
Il primo disco che ho comprato: Cross Road (Bon Jovi)
Il primo disco che avrei voluto comprare: Tapestry (Carole King)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Quando sono triste guardo Zoolander e il mondo mi sorride.