Il tempo medio di attenzione delle persone si sta riducendo da 12 a 8 secondi. Il tempo di leggere un tweet o poco più. E la musica si adegua: meglio inseguire formule vincenti e facilmente assimilabili, anche se poi il rischio e di finire nel “già sentito”.
Non sorprende quindi che un disco che, sul lato A, si apre con una canzone di 24 minuti e 21 secondi (la title track) e, sul lato B, si chiude con una canzone divisa in tre atti da quasi 20 minuti (Everybody’s Paris), sia rimasto piuttosto nascosto all’attenzione del grande pubblico. Eppure si tratta di una delle opere più interessanti del 2018, che spiazza e sorprende, tra sperimentazione e fruibilità.
Ma facciamo un passo indietro: Sandro Perri è un musicista canadese di Toronto. Il nome rivela chiare origini italiane. Artista poliedrico, nei suoi vari moniker (Polmo Polpo, Glissandro 70, Off World) spazia dall’elettronica al post-rock, dal folk alla ambient. Negli album a nome proprio, Sandro Perri ha ormai realizzato tre album di pregiato pop folk, in cui sembra di scorgere un filo diretto con l’eredità di Arthur Russell – altro artista che non ha avuto paura a mettersi al di fuori delle convenzioni e avrebbe senza dubbio meritato maggior riconoscimento e successo.
A sette anni di distanza dal magnifico “Impossible Spaces” (se non lo conoscete, andate a recuperarlo subito), Perri torna con “In Another Life”. Piuttosto che adagiarsi sulla formula che gli aveva regalato consensi di critica, in questa nuova opera non ha paura a scompigliare le carte e offrire qualcosa di inaspettato.
L’album si apre con quella che, nelle parole dell’autore, è un esperimento di songwriting infinito. Si tratta di un mantra pop, dalla semplicità e bellezza spiazzante. I paragoni con Brian Eno e Terry Riley non sono fuori luogo. Tre accordi di synth creano un tappeto che si ripete immutato per tutti i 24 minuti, intorno a cui Perri intesse gioielli di piano, chitarra e basso, esplorando via traverse piuttosto che muoversi in avanti. La voce, dolce e malinconica, canta versi che sembrano usciti direttamente da un sogno. Una canzone che invita a rallentare il ritmo e perdersi tra note e sensazioni.
Everybody’s Paris è, a sua volta, un esercizio di variazione nella ripetizione. Perri, André Ethier dei Deadly Snakes e Dan Bejar dei Destroyer, si alternano per offrire ciascuno la sua interpretazione del medesimo canovaccio. La melodia è la stessa, ma i tre prodotti hanno ciascuno una propria individualità e identità. Il primo atto, cantato da Perri, utilizza una strumentazione scarna e essenziale. André Ethier, invece, offre la versione più vivace con percussioni calde. Infine, Dan Bejar confeziona una gemma psichedelica.
La Constellation Records (per intendersi, la stessa etichetta di Godspeed You! Black Emperor, Vic Chestnutt, Jerusalem in My Hearth e Matana Roberts) si riconferma una miniera preziosa per ascoltatori in cerca di musica fuori dalla monotonia delle majors. E Sandro Perri dimostra nuovamente che la sperimentazione può andare pienamente d’accordo con la realizzazione di melodie affascinanti. Non resta che perdersi nell’ascolto “in questa vita diversa” e restare in attesa di come Perri cambierà tutto rimanendo coerente con se stesso nel prossimo lavoro.
Ugo Taddei
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.