“Room” è uno di qui film che ti danno un pugno nello stomaco e non te ne accorgi nemmeno. Uno dei migliori film candidati quest’anno nella corsa agli Oscar, è tratto da un caso austriaco di cronaca nerissima, atroce, di qualche anno fa. Una produzione canadese, un regista e una sceneggiatrice irlandesi per un film non hollywoodiano, l’antitesi di “The Revenant” e dei suoi immensi spazi, che ha stregato gli Oscar con la sua bravissima e credibile protagonista. La bellezza di “Room” è di aver trasformato il terribile “caso Fritzl”, una vicenda di abusi e di prigionia domestica del 1984 (e del libro omonimo), in un’opera complessa e priva di uno stucchevole giudizio morale. Un film che trova forza nella sceneggiatura di Emma Donoghue, che scinde bruscamente  la trama in due parti, il dentro e il fuori, aprendosi all’esterno bruscamente, con un impatto violento e magnifico.  Lo sguardo è quello del piccolo protagonista, nato e cresciuto in quella stanza che per cinque anni è stato il suo unico mondo. Un nido degli orrori, che lega madre e figlio in una fase simbiotica che dovrà sopravvivere all’impatto con l’esterno, con quel mondo e quel cielo tanto atteso e prima mai visto (se non da una finestra minuscola). Madre e figlio, i cui ruoli spesso si scambiano nel corso del film, si salvano più volte vicendevolmente, grazie a un amore che sopravvive all’odio, al mostruoso e all’incomprensione di chi non può capire, per continuare a vivere e godere di quel mondo reale, oltre al muro, dove riscrivere un’esistenza arrestata per anni perduti.

L’equilibrio di “Room” di fronte ad una trama simile è sorprendente, e verrebbe quasi da ringraziare che il regista sia l’irlandese Lenny Abrahamson, bravissimo a dilatare gli spazi, in un crescendo di ampiezze e di luci, e a permeare di equilibrio e di sensibilità un film che in mani di altri sarebbe stato pericolosamente melodrammatico e giudicante. Le interpretazioni potrebbero essere tante e le metafore attribuibili innumerevoli, da Alice nel Paese delle meraviglie a Pinocchio, come le psico-interpretazioni all’aroma di Melanie Klein e Winnicott, ma poco importa di fronte a un film bello, commuovente e intensissimo, che ha il proprio punto di forza nella storia e nella recitazione dei due protagonisti, senza bisogno di analizzare troppo. Bravissima, e anche di più, Brie Larson.

Il Demente Colombo