Porter Ray è un mc storyteller originario di Seattle (USA), città che definire ai margini del movimento hiphop è abbastanza eufemistico, soprattutto se a fare eccezione sono i singoli da classifica dei recenti Macklemore & Ryan Lewis (il primo originario proprio della città dello stato di Washington). Ma ciò che proviene dal nord ovest degli Stati Uniti ed in particolare dalla città che più di tutte si è distinta nel corso degli anni per i propri movimenti underground, non certo solo musicali, merita sempre attenzione. D’altra parte il grunge e Jimy Hendrix nascono qui, così come i Pearl Jam e la loro devozione per Mookie Blaylock (cestista anni 90 a cui è dedicato il titolo del primo album dei PJ, Ten, come il numero che Mookie portava sulle spalle) e quindi il link indiretto alla musica nera.
Dall’underground arriva pure Porter Ray, Mc accasatosi all’etichetta rappresentativa della contemporaneità musicale di Seattle, quella Sub Pop che dopo gli Shabazz Palaces, Le Thee Satisfaction ed una manciata di altri artisti, ha finito per interessarsi sempre di più al genere stampando titoli sempre particolari ed interessanti all’interno del suo pur vasto catalogo indie-rock. Ecco, se però gli artisti di cui sopra hanno messo la Sub Pop sulla mappa dell’alternative rap, quello che porterà a questa etichetta il rap di Porter Ray non si può certo dire con certezza. Ray è un rapper capace nelle rime, denso nei contenuti, tormentato quanto basta da demoni interiori (sono molti i riferimenti alla recente scomparsa del fratello, mentre poco dopo l’uscita dell’album ad andarsene è stata la madre del figlio, causa malattia incurabile) per sfornare un disco notturno, oscuro e riflessivo, perfetto per chi ama un certo tipo di sonorità “spacious”.
Seattle è conosciuta anche come “The Rainy City”, la città in cui piove sempre: non poteva che uscirne un disco che si racconta già dal titolo: “Watercolor”, i colori dell’acqua: a volte accesi, altre più sopiti, di certo sempre tendenti al riflessivo e al malinconico. I featurings degli Shabazz in Sacred Geometry e di Stass The Boss delle Thee Satisfaction in Arithmetic nobilitano un disco che va prima di tutto contestualizzato, poi ascoltato, capito e infine alternativamente dimenticato o relegato ai repeat in cuffia per i viaggi più intimisti. Ray ha fatto piovere di certo, bisogna capire quanto questo piaccia o annoi. Esattamente come un giorno di pioggia.
@lucamich23
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Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.