Non sappiamo se la decisione di One Horse Band di essere una band a componente singolo sia dovuta al bisogno di qualche spicciolo in più o a una specifica scelta dovuta alla consapevolezza dei propri mezzi tecnici musicali. In ogni caso “Let’s Gallop!” funziona ed il nostro rocker milanese, una sorta di animale mitologico alle prese con l’antica arte della musica, si diverte e diverte anche noi ascoltatori.
Dieci brani in cui One Horse esplora il pianeta blues fra classic american sound ed esperienze più nostrane (agli appassionati del genere non potrà non venire in mente la mitica two men band veneziana The Mojomatics). Si parte con l’iniziale Declaration of Intent, blues sporco marcio, sederi che si muovono e sudore, per finire poco più di mezz’ora dopo con l’acustica Altare.
In mezzo una Uh Hu Hu Yeah! dal ritornello micidiale che non stonerebbe nella discografia dei Black Rebel Motorcycle Club o i Black Keys, la cover di Venus, hit del 1969 degli Shocking Blues, una Don’t Put Your Leg on My Leg che sa d’inizio secolo, il country da saloon texano di Mama I Think I’m Drunk e la stonesiana Bad Love Blues, solo per citare alcune perle lorde. Che l’uomo cavallo sia con voi.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.