E se dicessimo che “Zama” dei Mòn è un album tanto prezioso nel panorama della musica italiana, meno asfittico invero, quanto intenso e giustamente apprezzato da certa critica? E se aggiungessimo che dovreste proprio andare a vedervi dal vivo questa band romana che canta in inglese, e poi comprarvi il disco perché, sì, non ci sono parole, è davvero bello, è pop ma anche tanto altro, è emotivo, elegante, insomma da ascoltare d’un fiato, qui, ora, basterebbe? Vi sentite dietro la schiena strisciare il tarlo del senso di colpa per non averlo ancora fatto? Tranquilli, al termine di queste righe so che lo farete, e tuttavia non farlo comporterebbe un grave danno a voi stessi.
Si accennava a Roma; finalmente dalla capitale un album di ampio respiro. A realizzarlo sono i Mòn, ovvero Rocco Zilli (voce, synth, chitarra), Carlotta Deiana (voce), Michele Mariola (chitarra), Stefano Veloci (basso) e Dimitri Nicastri (batteria). L’album ha un titolo impegnativo, ma non per noi che abbiamo alle spalle lunghi e meditati studi storici: “Zama”. Dalla copertina capiamo il perché: un grande, profondo spazio bianco sullo sfondo e un magico teschio di elefante che campeggia in primo piano, sono lì a ricordarci che le guerre puniche, la seconda nella fattispecie, probabilmente sono state combattute dagli antenati dei nostri nuovi eroi capitolini.
Al di là del nobile e bellico riferimento, ci hanno colpito le parole di chi si è occupato di arricchire in bellezza la canzone che apre il disco. Parliamo di Marco Brancato, autore e regista del video di Lungs, il quale ci dice: «Per questo videoclip non ho cercato specifiche ispirazioni visive o letterarie se non in un generico immaginario a metà tra il fantascientifico e l’esoterico. Ho cercato di reinterpretare il brano in modo non didascalico, ma che restituisse le incredibili suggestioni che evoca».
Il teschio rimanda a un conflitto del protagonista che deve combattere la battaglia più difficile di tutte: quella contro sé stesso. Il mare è il profondo che alligna in ciascuno di noi, che affoga talvolta, immerge i nostri pensieri e impedisce di agire. «Un mondo che può essere meravigliosamente in equilibrio o, nella sua bellezza, pericoloso e letale. E il mare è esattamente così, come noi». In queste parole di Brancato affiora vivido il senso della musica dei Mòn: la dolcezza delle voci, dei contrappunti melodici di Rocco e Carlotta, è speculare a una malinconia che sfocia in violenza brutale.
E qui occorre citare altre canzoni, come le adrenaliniche Forest of Cigarettes e That Melts into Spring, dal cui disegno complessivo si deduce che conservazione e creazione ricercatissima di nuovi suoni possono andare d’amore e d’accordo. Riferimenti vari e sparsi si possono anche rintracciare (per esempio gli Alt-j), ma le canzoni sanno emergere nella loro originale e dolce formula intimista. Certo, senza voler tacere di qualche sbavatura, di soluzioni poco coraggiose e di non essere stati spregiudicati al punto da affogare l’intero disco nella promessa della prima parte, davvero intensa, tutto questo non toglie nulla a un esordio promettente e necessario. Anche se le nostre speranze erano riposte in Cartagine, e nel grande Annibale, diciamo: lunga vita ai Mòn!
Alberto Scuderi
Nome e Cognome: Alberto Scuderi
Mi racconto in una frase: “Il matrimonio altro non è che quella odiosa ipoteca posta sui coglioni” Giuseppe Rovani. La frase è fortina e un conservatore come me non la condivide appieno. Tuttavia, l’avrei voluta scrivere per primo.
I miei 3 locali preferiti per vedere Musica: Paradise (Amsterdam), Ohibo (Milano), The Craftsman Jazz Club (Reggio Emilia)
Il primo disco che ho comprato: Rock is Dead (Singolo) Marilyn Manson
Il primo disco che avrei voluto comprare: Jagged Little Pill di Alanis Morisette
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Ciascuno ha le sue: penso che il sapone di Marsiglia sia veramente insopportabile. Per le proprie mani, per l’ambiente in cui si spande come veleno, per la società che lo produce e per tutti coloro che si ritrovano a venderlo trasversalmente al pensionato come allo studente fuori sede sfigato che non conosce lozioni altre da applicare alle proprie falangi. Ci vorrebbe una grande petizione popolare: ah, se fossimo negli anni ’70!