Ci si potrebbe chiedere cosa porti una artista ad aspettare sette anni dal suo disco di esordio per pubblicare il secondo lavoro in studio. Lucia Manca avrebbe diverse risposte, tra cui le collaborazioni con Gianluca De Rubertis (Il Genio), Populous e Jolly Mare, dietro la console tra gli italiani più innovativi che si muovono rispettivamente tra i ritmi elettro tribali e la disco italiana, due tra i pochi che sono riusciti a calcare palchi come il Sonar e farsi riconoscere al di fuori del nostro Paese.
La sua prima produzione affidata a Giuliano Dottori, la seconda alla madrina dell’indie Matilde Davoli e il suo essere strattonata in diversi progetti, sono elementi sufficienti per capire che stiamo accarezzando della stoffa rara. Ascoltare in successione i due dischi della cantante salentina è come osservare un serpente durante la sua muta, e guardare al microscopio quella che è stata una metamorfosi dalla chitarra cantautorale, leggera, ai synth di questi ultimi anni di musica italiana.
Una presenza costante, anche in “Maledetto e Benedetto” (Malinka Sound/Peermusic) rimane la sua voce demodè, forse più soffusa nel suo primo lavoro (si sente molto la produzione di Giuliano Dottori) e adesso invece «splendida-splendente» che richiama alla mente l’estate italiana anni ‘80. Ora, non vorrei scomodare anche Marcella Bella o Raffaella Carrà, ma sicuramente “Maledetto e Benedetto” è anche un lavoro di recupero di sonorità retrò tipicamente estive, sposate a diverse rielaborazioni di un unico tema (sì, l’amore), pensato non solo all’interno di un rapporto di coppia, ma anche come amore provato per se stessi, per dei luoghi, dei sentimenti. Fa anche capolino Populous in Noi e Al posto tuo, con i synth che rendono la patina del disco rarefatta e giustamente nostalgica («Ormai siamo bombardati da input di revival ’80 e credo che anch’io ne abbia subito il fascino»).
Un concentrato sintetico di otto brani dove si benedice e si maledice l’amore, ce ne si allontana per poi rincorrerlo smanianti, senza mai che Lucia scada in una versione femminile di Tommaso Paradiso. Un buon disco, che si fa apprezzare ancora di più per invogliare ad ascoltare il precedente del 2011, sperando di non aspettare ancora sette anni per il prossimo.
Andrea Frangi

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.