Ritorna per l’ultimo appuntamento di ottobre “5 Canzoni Bomba”, la settimanale rubrica sulle canzoni bomba da mandare a memoria almeno fino a che non ne usciranno altre 5, e così e via, per poi ritrovarsi con un arsenale utile per ponderare “wow, che grande anno che è stato”. Auguriamo a tutti che possa andare così. E no: nessuna canzone proviene da “The Car” degli Arctic Monkeys.
Phoenix – Winter Solstice
I Phoenix sembrano fare sul serio col loro prossimo e settimo disco “Alpha Zulu”. Dopo i botti di fine estate della strepitosa Tonight con Ezra Koenig (per chi scrive il pezzo preferito dell’anno 2022), ecco che ci addentriamo finalmente in un inverno in cui la band di Versailles sembra ben intenzionata a volerci accompagnare con un disco che sappiamo già che ameremo come l’ultimo. Winter Solstice è una crepuscolare ballad synth-pop che ricorda molto da vicino le ultime virate degli Strokes post Instant Crush dei Daft Punk+Casablancas. E infatti gli umori di french touch permeano i quattro soffusi minuti di questo brano, appoggiato su un basso rigonfio e saturo, degli arpeggi di chitarra ben assestati e delle scariche di sintetizzatore che ricordano sferzate di freddo gelido. In attesa del disco, ma anche dello stesso solstizio d’inverno, vi ricordiamo che i Phoenix torneranno per un imperdibile live il prossimo 18 novembre. Esserci.
Fred again.. – Delilah (Pull me out of this)
Alziamo i BPM con l’ultimo singolo prima del terzo capitolo di Actual Life, l’audioracconto del mondo secondo Fred Gibson. Se c’è una musica che secondo me meglio identificherà cosa sono stati questi anni assurdi, è proprio questa e non il profluvio di dischi lockdown pop-rock che hanno invaso le piattaforme (un tempo si diceva scaffali). La musica di Fred Again.. al tempo stesso così leggera e intensa è il non plus ultra dell’instabile e insicura emotività che più o meno tutti ci siamo dovuti trovare ad affrontare. Il metodo di produzione del producer più richiesto della sua epoca è ormai arcinoto, ma in breve: estratti audio, rumore d’ambiente, messaggi vocali, gentili concessioni di amici interpreti si appoggiano sui beat sempre più dritti man mano che la pandemia diventa un ricordo. Se il primo capitolo rappresentava la desolazione del momento e il secondo prevedeva un percorso di ripresa, questo terzo sarà definitivamente il ritorno alla vita di sempre, senza scordarsi di chi è rimasto indietro e che inevitabilmente ci manca e con esso la sacrosanta buona dose di rimpianto.
Dry Cleaning – Kwenchy Kups
Eccoci al secondo disco degli ottimi Dry Cleaning, una ridente peculiarità nel post-punk del sud di Londra grazie soprattutto al recitar cantato (spoken word dicono quelli bravi) di Florence Shaw. Doverosa una premessa che nulla ha a che vedere con la musica, ma che in epoca di forma più che sostanza non può che diventare un elefante nella stanza: ascoltare questo disco è un’esperienza visivamente raccapricciante perché ha una copertina che sinceramente non vorrei nella mia discografia, ma i gusti sono gusti e forse noi italiani siamo fin troppo schizzinosi in fatto di igiene. Fortunatamente i Dry Cleaning hanno più sostanza che forma, e per una band che fondamentalmente non canta è un gran complimento. Suoni più levigati e quindi sintomo di maturazione, tematiche più audaci e rischio more of the same scongiurato, e di nuovo, per una band che fondamentalmente non canta è un altro bel complimento. Il brano Kwenchy Kups è una perfetta sintesi di queste nuove qualità.
Brenneke – Buona Miseria
Il bello di fare questo mestiere, se essere appassionati e seguire precise scene musicali si può chiamare mestiere, è che ci sono quegli artisti che prendi in simpatia fin da subito e alla fine ti metti nel bagaglio di robe a cui periodicamente tornare trasognanti, capaci comunque indirettamente di segnare epoche: le tue. Brenneke è un cantautore che col suo progetto è in grado di fare proprio questo. Ti sembra di conoscerlo da sempre e al contempo ti chiedi perché non lo conoscano tutti, tipo anche la collega stordita che va al Jova Beach Party. Fa canzoni che al primo ascolto sai che sono belle, ci rimani in fissa anche qualche bel giorno peso, poi cedono naturalmente il passo, ma quando tornano descrivono quel momento, quel mese di tanti anni fa, quella serata in macchina. E Buona Miseria è un brano, ancora una volta, in grado di fare proprio questo. Proprio di mestieri sì anzichenò parla il testo e già sarebbe bastevole per immedesimarcisi: mestieri incerti, mal retribuiti, frustranti e forieri di dubbi e auto-discussioni. Poi ci sono le melodie, gli hook azzeccati, la dinamica della metrica scandita (cosa fondamentale che pochi sanno maneggiare e che è il segreto per l’innamoramento con una canzone da parte dell’ascoltatore) e qualche chicca tecnica per i più riccardoni (Edoardo è un validissimo chitarrista). Ora mi è tornata voglia di riascoltare la sua vecchia Satelliti e vado a schiacciare play, voglio tornare a perdermi in un parcheggio della provincia come tre anni fa.
Taylor Swift ft. Lana del Rey – Snow on the Beach
All’inizio dell’articolo ho citato gli Arctic Monkeys: lungi da me lo sfogo da vecchio indierocker che non sa fare i conti col presente. A scanso di equivoci il disco degli Arctic Monkeys è composto interamente da buona musica, ben suonata, scritta e prodotta ancora meglio e certamente non avanguardista e stravolgente, anzi. Quello degli AM è semplicemente un disco di un gran nome molto atteso ma decontestualizzato dal proprio tempo, in totale asincronia col proprio pubblico che ne è di base pure disinteressato, se non incattivito. Se devo sentire del crooning so già dove andare a cercare, se devo sentire un’orchestra soul ho anche lì i miei riferimenti nuovi e attuali, non mi serve lo spiegone di Alex Turner (a cui onore al merito va dato atto di essere arrivato a questo livello col suo talento e pochissimo altro). Come si collega questa cosa a Taylor Swift? Beh, per il fatto che lo stesso giorno è uscito un altro disco ancora più atteso da una fanbase educata e cresciuta insieme, accompagnata nell’evoluzione del progetto che è partito da un country-pop, per poi atterrare su uno sfizioso e onestissimo pop e poi arrivare infine ad aggrovigliarsi su costanti prove di maturità ben accolte da tutti. Pacifico: esce un disco di Taylor Swift, i fan sono contenti, lei si sfoga, noi poptimisti patrician ci adeguiamo e diamo un ascolto esterno che risulta pure in compiaciuta approvazione vista la parata di idoli alternative a cui affida produzioni e testi. Taylor Swift ora fa musica perfettamente inserita nell’epoca corrente, filtrata da altrettanti cambi repentini di rotta, magari mai dirompenti ma di sicuro propedeutici e consequenziali, COERENTI direbbero i giudici di X-Factor. E lì ci si arriva sempre e solo con una cosa: talento sì, ma soprattutto le canzoni, quelle che mancano a “The Car”.
A cura di Andrea Fabbri
Riascolta tutte le nostre canzoni bomba alla playlist:

I miei tre locali preferiti per ascoltare musica: Circolo Magnolia (Milano), Biko (Milano), Santeria Toscana (Milano)
Il primo disco che ho comprato: Coldplay – X&Y
Il primo disco che avrei voluto comprare: Weezer – Blue Album