Chitarra elettrica che si avvita in riff boogie-blues degni di uno Slash in gran spolvero; batteria elettronica turgida come i muscoli di Dave Gahan ai tempi di Personal Jesus; golosità insana per i suoni electro-trash che fa pensare agli Stereo Total; disprezzo esistenziale per il volgo, recitato su un tappeto sfilacciato di blues da bettola degno di Vinicio Capossela: benvenuti nel mondo dei Lady Ubuntu.
I nostri eroi viaggiano sui 40. Vengono dalla provincia padana e testimoniano senza filtri cos’erano nei loro anni verdi e cosa tutto sommato vogliono continuare ad essere oggi: dei teatranti per cui la denuncia e la farsa si scambiano di ruolo continuamente, anche per merito di un efficacissimo cantato recitato e di un sound da Circo Togni d’annata. Con premesse di questo tipo, il rischio di suonare come dei vecchi snob o debosciati fuori tempo massimo è davvero dietro l’angolo, ma le canzoni di questo loro secondo disco dimostrano che dietro la maschera si nascondono dei certosini del lo-fi.
Ogni traccia ha un suo sviluppo, una sua orchestrazione e un suo arrangiamento classico, equilibrato e rispettoso del mestiere artigianale del canzonettista. Sotto una coltre di suoni volutamente fastidiosi e ritmi sghembi si nasconde pertanto un disegno fatto di saggia ed equilibrata pesatura degli ingredienti, e questo ci fa dire che i Lady Ubuntu sono qui per restare e vanno presi decisamente sul serio. Menzione d’onore per la title track, paradigmatica del loro rock, e per Donna buio, disturbante senza via di scampo.
Alessandro Scotti

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.