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John Garcia – John Garcia and the Band of Gold: Recensione

Amanti dei seventies, finalmente il 2018 è finito e vi potete quindi lasciare alle spalle, speriamo una volta per tutte, quel giovane clone zeppeliniano a nome Greta Van Fleet. Questo 2019 parte infatti col botto grazie al ritorno di uno che il sound di Zeppelin et similia l’ha fatto proprio già un trentennio fa, quando militava insieme ad un certo Josh Homme in una band chiamata Kyuss.

Se i Van Fleet rileggono Plant e soci come fossero nel frattempo filmati all’interno di un ristorantino di lusso, il buon vecchio John invece trasporta l’ascoltatore dritto in una tipica osteria di provincia dove i piatti sono più o meno sempre gli stessi, come anche gli osti e le cuoca, così da mantenere un rapporto solido e sempre vivo con il cliente.

Si parte quindi con un antipasto a base di blues, scuro e melmoso, si passa a un primo hard rock anni settanta (Black Sabbath, Led Zeppelin), poi arriva il secondo, metalloso e spaziale, molto Soundgarden, con un contorno punk, e per finire il dolce della casa: quello stoner che nessuno è in grado di fare come Garcia. A condire il tutto, vino in abbondanza che spinge a mescolare tutte le pietanze per ruttarle con gioia e fracasso creando quell’odore e quel rumore inconfondibili.

I nuovi brani sono 11, dalla strumentale Space Vato all’acustica Softer Side. In mezzo c’è John Garcia, le sue cavalcate hard, i riff sporchi, la voce sicura e vetrata. Sempre lo stesso? Sì, ma come fu per Lemmy e i fratelli Ramone, si potrebbe forse chiedere di meglio?

Andrea Manenti