I Segreti esistono dal 2012, ma si sono fatti conoscere a un pubblico più grande solo quest’anno con il loro album “Qualunque cosa sia”. Un lavoro che si rifà a uno scenario Settanta-Ottanta, facendo collidere la malinconia e l’allegria per sprigionare un sorso fresco di pop. In vista della loro data del 30 Novembre al Rocket di Milano, li abbiamo intervistati. Ecco cosa abbiamo scoperto.

A cura di Andrea Frangi

 

La prima domanda può sembrare scontata, ma… Come mai questo nome? I Segreti di chi sono? Prima vi chiamavate I Segreti di Charlotte? Chi era Charlotte?

Abbiamo scelto il nome “I Segreti” perché pensavamo calzasse bene con le canzoni che facciamo. Abbiamo sempre pensato ad un nome che potesse fare da sfondo ai testi che proponiamo e sinceramente lo troviamo ancora adesso molto adatto. L’idea dei Segreti è nata circa nel 2012-2013 con il nome “I Segreti di Charlotte” (Charlotte ci suonava bene), ma in realtà diciamo che il messaggio di intimità ed emozionalità che portiamo avanti è sempre rimasto lo stesso. Semplicemente nel tempo ci serviva essere più semplici e diretti così da far capire meglio la nostra identità. Per questo abbiamo salutato Charlotte.

Chi sono Angelo, Emanuele e Filippo fuori dal palco?

Queste sono probabilmente le domande più difficili (ridono). Siamo dei semplici ragazzi credo, abbiamo caratteri molto diversi tra noi: c’è chi è più estroverso e chi meno, c’è chi è più preciso e chi predilige un atteggiamento più anarchico, se così si può dire. Però c’è da dire che ci vogliamo molto bene e ci piace stare in gruppo. Grazie anche ai nostri background diversi, potrà sembrare banale, ma questo rende tutto quello che facciamo molto “forte”.

Non nascondete il vostro amore nei confronti dell’immaginario anni Ottanta e Settanta, evidente anche nel vostro video (He-Man, Dino Zoff, Franco Baresi, le televendite, anche il vostro abbigliamento). È chiaro che ci sia un debito musicale nei confronti di quel periodo, come mai? E come mai proprio adesso avviene una riscoperta di un suono vintage da parte di alcuni gruppi (penso anche ai TheGiornalisti da “Fuoricampo” in poi)?

Sì, diciamo che quel tipo di immaginario ci ha sempre ispirato molto; sia da un punto di vista estetico che musicale. Nasce tutto da un fattore di ascolti, penso per esempio a De Gregori, Dalla, Fossati, Battisti. Questi, ma non solo, sicuramente ci hanno accompagnato in questi anni creando un nostro mondo in cui suonare. Pensiamo inoltre che si abbia molta nostalgia di quel tipo di cultura, che poi non si intende solo musicale perché insieme ad essa crediamo ci sia anche una parte strettamente sociale dietro, come l’andare ai concerti, fare la famosa “gavetta” o la voglia di avere una propria identità. In questo senso i TheGiornalisti diciamo che sono stati i primi a palesare una voglia di portarsi dietro il passato per costruire qualcosa di nuovo.

C’è un passaggio nel secondo brano del disco che trovo molto bello: “Vorrei solo […] saper leggere il mondo senza parafrasare, senza metafore e inganni…”, dove c’è un ragazzo che sembra imprigionato nel suo mondo di pensieri complicati e poi una ragazza che con la sua presenza sembra offrirgli una via di fuga (chissà se la seguirà). Quanto di autobiografico c’è in questo pezzo? C’è una sensazione di rimpianto in molti vostri brani, come se ci si dovesse accontentare in qualche modo. Sbaglio?

Parla di rimpianti, nel senso che nelle canzoni c’è un dubbio di fondo sul rischio di fare le scelte giuste o sbagliate nel nostro quotidiano, e soprattutto sulla paura di essere definiti dalle nostre azioni. Diciamo che in quella canzone si parla di un mondo di conflitti fatto di idee e teorie piuttosto che qualcosa di pratico. Questo credo sia poi il tema e il senso della canzone: il rischio di chiudersi nel proprio mondo senza guardare cosa sta succedendo fuori dalla finestra. La canzone (come quasi tutte) è in parte autobiografica e in parte frutto della fantasia, però personalmente ci troviamo d’accordo con Brunori Sas quando in una sua canzone dice che “la vita va vissuta, invece io la penso”.

Ho ascoltato alcune vostre demo su Youtube del 2014. Credo che in questi quattro anni abbiate fatto una vera e propria ricerca della semplicità espressiva nei vostri brani. Siete passati da brani più “da cameretta” (Cecilia in volo), alle schitarrate con sing-along (Il fiore di Narciso) a un ritorno agli anni ‘80, dove arrivano anche i synth (Torno a casa). Il tutto con un denominatore comune: quello dell’immediatezza, di un messaggio musicale diretto. Cosa è successo in questi anni di lavoro in sala prove e sui palchi insieme?

In questi anni siamo semplicemente cresciuti, non cambieremmo di una virgola quello fatto fino ad ora, dalle canzoni ai concerti. Si cresce e si cambia, questo è successo. Capisci sempre di più chi sei e impari a capire le tue corde da che parte pendono e soprattutto la motivazione che ti spinge a fare musica. Noi con questo disco non ci sentiamo per niente arrivati né tanto meno di aver mostrato in maniera definitiva la nostra identità. Stiamo appunto crescendo e non vediamo l’ora che il tempo ci lasci la possibilità di mostrarci a fondo.

Tre album (o artisti) smaccatamente pop del passato di cui non potete fare a meno?

Tra i molti: “Rimmel” di De Gregori, “Bollicine” di Vasco, “Revolver” dei Beatles.

Tre artisti di oggi che secondo voi stanno “rivoluzionando” le cose?

Adesso inizia ad essere un bel momento, artisti come Motta, Calcutta, Lo stato Sociale e altri hanno evidenziato un cambio di direzione netto rispetto a prima. Se prima i talent erano al centro dell’immaginario comune e l’unico modo per cercare di costruirsi una carriera, adesso si stanno creando più possibilità e diversi canali per farlo. Si sente nell’aria più libertà e novità rispetto a prima.

Vi attende un tour invernale che toccherà diverse città, dal Nord al centro Italia. Siete partiti il 26 ottobre da Parma con una festa per la release del vostro album, come è andata? Sarà la prima volta che avrete a che fare con un tour con tutte queste date?

È andata fin troppo bene (ridono), non ci aspettavamo di vedere così tante persone cantare le nostre canzoni. Questo comunque sarà il nostro primo tour e non abbiamo assolutamente idea di cosa ci aspetta, l’unica cosa che ci auguriamo è quella di emozionare e di divertici durante le serate. Non vediamo anche l’ora di conoscere chi ci segue e chi ascolta le nostre canzoni.