A un anno di distanza dal precedente “Zenith”, i torinesi Indianizer sono tornati con il loro terzo full-lenght album, “Nadir”. La band si paragona agli Animal Collective, alla musica brasilera e ai Can. Per chi avrà modo di ascoltarli, sono tutte dichiarazioni di intenti sincere. Un altro paio di maniche è capire se alla prova dei fatti le canzoni reggano, o almeno ci facciano muovere.

A onor del vero, la traccia iniziale propone atmosfere quasi gotiche e spaghetti western, ben lontane dalle ispirazioni citate dagli autori, sostenute da un ritmo glaciale e regolare come una macchina a controllo numerico e da un loop di basso vagamente funky; una traccia che trasuda un’emotività tra Nick Cave e Wall of Voodoo, anche se il sound ricorda St Vincent, mentre la voce distorta e sensuale richiama la gigioneria eterna del glam.

Il suono krauto emerge invece nella successiva REYNA QUERIDA, che da Colonia arriva alla swinging London dei Tomorrow, con un notevole contro-coro in crescendo che chiude la traccia. Dalle parti dei tropici saltella poi SIN CLEOPATRA, giustificando i riferimenti che gli Indianizer millantano con gli Os Mutantes e il rock acido brasiliano in genere. Qui il temperamento è decisamente solare e abbronzante, mentre la successiva HOROSCOPIC (SATURN RETURNS) salpa per le galassie usando trucchetti da space-rock degni della fantascienza più epica e magniloquente degli Anni ’70, sebbene nel ritornello la vena funky viri a terra verso il Brasile, per poi perdersi nuovamente in mezzo agli astri.

Anche il tango viene infine imbandito per la causa, in KA OU FE, dove su un ritmo vagamente rioplatense si sparge polvere di stelle, con un crescendo finale da serata cocktail in spiaggia. La conclusiva AYA PUMA è più o meno la summa di tutte le influenze del disco, con trucchi da astronave e bilanciamento democristiano tra 4/4 e shuffle. “Nadir” è pertanto una raccolta piacevole di musica da (s)ballo. Le ciliegine lounge sono dosate con misura, e ti fa muovere sudando il giusto.

Alessandro Scotti