Una premessa

In quali altri festival italiani puoi vedere salire sullo stesso palco, nello stesso giorno, musicisti del calibro di Anna Calvi, Sleaford Mods, Verdena e Gilla Band? Todays Festival, obiettivamente, è l’unico evento che dal 2015 garantisce una lineup di questo livello nel nostro Paese. Quelli citati sono gli artisti che si sono esibiti nella seconda giornata di questa nona edizione. Una delle migliori, se si considera che soltanto 24 ore prima i Wilco avevano illuminato la città della Mole in compagnia di King Hannah, Les Savy Fav e Warhaus (qui il nostro report del live di Jeff Tweedy e soci).

Gilla Band: furore e delizia

La seconda giornata, minacciata dalla pioggia ma graziata da qualche divinità angloitaliana, si è aperta in modo quantomeno vivace con la rocambolesca scazzottata tra corpo e mente, muscoli e psiche, pianificata a dovere dai Gilla Band. Gli irlandesi non sono mai andati troppo per il sottile, nemmeno dopo il recente cambio di nome. E forse proprio per questo, oltre che per i noti problemi del frontman, non sono mai emersi dal sottobosco che hanno contribuito a creare. Verrebbe quasi da dire che se non fosse per loro, la scena di Dublino, oggi fiorente soprattutto grazie ai Fontaines DC, sarebbe ancora ferma agli anni Zero. La prova torinese è granitica e convincente. Decisamente più di impatto rispetto alla prima e unica volta in cui mi ritrovai al loro cospetto prima di questo Todays Festival. Certo è che dal vivo la componente noise prevale su quella post-punk, ammesso e non concesso che le due debbano viaggiare separate. Il risultato è duplice: un parterre piacevolmente bombardato di distorsioni, fuzz e delay da una parte e una schiera di detrattori del rumore dall’altra. Ma credo che i Gilla Band non ne abbiano mai fatto un problema, anzi.

Anna Calvi: regalo (in)atteso

Ma parliamo del regalo più bello di questa edizione del festival. Parliamo di una chitarrista sublime, con il sangue color blues e una voce pazzesca che sembra risalire dall’anticamera del soul. Anna Calvi, “magnetica e intrigante” ma terribilmente fisica, ha messo insieme un set da prima della classe che in pochi, immagino, dimenticheranno. Una performance di rara intensità e bellezza, che ti lascia addosso qualcosa che ha a che fare con il brivido, un senso di appagamento e il piacere puro. Tra gli highlights del concerto, per quanto relativamente breve, la bellissima Indies Or Paradise, le svisate chitarristiche di I’ll Be Your Man e la cover di Ghost Rider dei Suicide. In mezzo, tra le altre, una perfetta Love Won’t Be Leaving e l’acclamata Don’t Beat The Girl Out Of My Boy. Nessuno, ma proprio nessuno, potrà mai lamentarsi di un concerto del genere. A chi non l’ha mai vista dal vivo, consiglio di rimediare il prima possibile.

Sleaford Mods: parola d’ordine, buttarsi dentro

Con gli Sleaford Mods, naturalmente, è cambiato completamente il registro. Non sono mai stato un ultras del duo di Nottingham, ma devo ammettere che spesso e volentieri me li piazzo in cuffia, specie quando mi prende un certo rigurgito antagonista. A Torino ho scelto di ascoltarli da fermo, vicino alla transenna ma in posizione defilata. Lo spettacolo è stato divertente. Jason Williamson è un animale da palco sui generis. Gioca a fare il primate con la bottiglietta d’acqua in testa. È un continuo scimmiottare, con la maglietta appena alzata e la mascella in fuori a simulare un prognatismo esagerato. Il suo compare Simon Parfrement, invece, pare abbia adottato un nuovo approccio al concerto. Non più immobile dietro la consolle con la birra in mano, ma scatenato nelle retrovie a tirar bracciate nell’aria molleggiandosi da un lato all’altro della pedana. A dirla tutta, mi aspettavo più rabbia e meno goliardia. Ma i pezzi ci sono. I testi, soprattutto, sono quelli affilati che conosciamo. Resta il solito dubbio: se la musica degli Sleaford Mods fosse suonata per davvero da una band anziché essere sparata da un portatile, non sarebbe meglio? Chissà, forse hanno ragione loro. Forse l’effetto stradaiolo verrebbe a mancare. Ma allora avrei dovuto buttarmi in pista e ballare senza fare il prezioso in posizione defilata. Poco male.

Verdena: “Miglioramento”

E poi i Verdena. Quest’anno li ho già visti tre volte. E ogni volta li ho visti migliorare, riprendere confidenza, uscire dal guscio che li ha tenuti protetti per sette anni sette. Il loro suono è sempre stato sporco e potente, fin dalla prima data. Ma lentamente si è fatto più definito, più sicuro nella sua viscerale imperfezione. I mezzi sorrisi accennati da Alberto Ferrari ne sono una prova. I brani tratti da “Volevo Magia” hanno ormai familiarizzato con i vecchi cavalli di battaglia. Sono un tutt’uno con le varie Luna, Angie e Loniterp. Un canzoniere che anche a Torino ha raccontato la storia di una band importantissima, che guai se non ci fosse. E poco importa se a questo giro non hanno fatto Valvonauta, perché i bergamaschi, stavolta, hanno deciso di spettinarci con Logorrea (Esperti all’opera), Don Callisto e Lui Gareggia. Ma soprattutto con i dieci minuti de Il Gulliver, che al netto delle hit, chiamiamole così, è forse la loro canzone migliore di sempre. Comunque si piazza sul podio. Pascolare, anche lei, sta guadagnando terreno in modo inaspettato. Da traccia minore del nuovo disco, è diventata un punto fisso. Nella prima parte del tour veniva suonata come aprirpista, ora è il pezzo di chiusura, o quasi. Insomma, i Verdena ci hanno regalato il miglior finale di serata possibile. Con la portiera della macchina che si chiude piano e le dita che vanno subito a cercare Dialobik per risentirla sulla strada verso casa. “Chiudi i tuoi sensi e vai, in the sun”.

Paolo