Un progetto italiano capace di suonare fluidamente internazionale è cosa rara, lo si può ammettere. Perciò quando riesce, occorre celebrarlo e rendere onore al merito. Ecco, i Linda Collins ce l’hanno fatta. Il collettivo di Torino, nato dall’unione di artisti provenienti da diverse formazioni già attive da tempo all’interno del panorama alternativo e indipendente, ha dato vita a un debutto genuino e dallo sguardo decisamente oltreconfine.
Una lieve carezza sul cuore data con un guanto di velluto, questo è “Tied”. Sentori di sera primaverile, sapore di giornate che iniziano ad allungarsi. Ma quando la luce cede al buio, ancora una piccola stretta prende allo stomaco e la brezza fresca non accenna a diminuire obbligando le persone a stringere di nuovo il bavero del trench. Un lavoro malinconico, si potrebbe dire, ma malinconico non significa per forza triste. Piuttosto è capace di portare con sé qualcosa di catartico, e nel farlo non abbandona mai il proprio ascoltatore, lo accompagna nell’esplorazione della parte più profonda del proprio sé e lo culla nella scoperta dei propri mondi onirici.
Un disco avvolgente, nonostante risulti pacato, sobrio, talvolta quasi minimal, per tipologia di canto (talvolta quasi un sussurro) e utilizzo sapiente, curato e mai eccessivo di synth e chitarre. Suggestioni shoegaze per un disco corale nonostante l’essenzialità che lo caratterizza, i Linda Collins fanno infatti confluire al suo interno le loro precedenti esperienze non solo attraverso la loro stessa arte, ma anche grazie a concrete collaborazioni con artisti legati al loro percorso.
È così che i brani di “Tied” si diversificano grazie all’alternanza tra la voce maschile e quella femminile, data dalla presenza della cantante Kariyn Nygren; si arricchiscono con la tromba del musicista e compositore Ramon Moro; si colorano di questa o quella tinta di azzurro-blu a seconda degli inserti sonori offerti dalle diverse band dell’ “ecosistema Linda Collins”.
Decisamente emblematici di tutto questo universo, i primi singoli tratti dall’album, in particolare Sometimes e First Step #1, la cui parte visuale concorre ad alimentare e amplificare l’atmosfera fluttuante e nostalgica che permea l’intero disco: filmini super8 che riportano indietro nel tempo, un tempo che forse nemmeno fu, ma che resta appiccicato come se i ricordi fossero proprio reali, proprio nostri.
Siamo definitivamente di fronte a un lavoro pensato a 360°, dove l’attenzione ai dettagli fa la differenza, così come la voglia di tirare fuori qualcosa che valga, sotto ogni punto di vista. Sfida vinta e tanta voglia di scoprire quale sarà la prossima.
Daniela Raffaldi