Per chi ancora non lo conoscesse, Fulminacci è un giovane cantautore della nuova scuola romana, dal suono fresco e astuto. Il disco d’esordio di Filippo Uttinacci, questo il suo nome all’anagrafe, si intitola “La Vita Veramente” (leggete qui la nostra recensione) ed è uscito lo scorso anno per Maciste Dischi. L’artista, 23 anni appena, sarà ospite della terza serata (sabato 13 marzo) della sesta edizione del Premio Buscaglione di Torino. Ci abbiamo fatto una bella chiacchierata.

 

 

Intervista a cura di Renato Murri

 

“Quando esiste l’argomento/lo sapete/so rischiar”, cantava Buscaglione. Ti ritrovi in questa affermazione?

Beh, direi proprio di si! Anche solo perché è un onore partecipare a un evento che porta un nome così importante!

Tutti noi siamo un insieme di ruoli che confluiscono in una persona. Musicista, attore, cantautore e tanto altro. Cosa tiene tutto insieme sotto il nome Fulminacci? 

Secondo me il gusto. Il gusto, infatti, è ciò che tiene insieme tutto quello che una persona può fare: dalla cucina ai rapporti, dalle persone che sceglie alla musica, al cinema.

Tra un po’ non avrai piu’ vent’anni e la vita diventa un mestiere. Cosa vuoi fare da grande?

Diciamo che quello che sto facendo ora mi piace molto e vorrei continuare a farlo divertendomi sempre di più, e mettendoci sempre cose nuove. Voglio studiare e poi divertirmi con quello che ho studiato. Anche perché se studio e basta… mi rompo le scatole!

Penso ai tuoi coetanei che, magari, dopo un tuo concerto vanno a dormire per affrontare il giorno dopo un colloquio che li introduca nel mondo del lavoro. Ecco, immaginiamo di essere ad un colloquio di lavoro: “Quale valore apporteresti al mondo della musica in caso di “assunzione”?

Complicatissimo! Io spero di essere il più possibile sincero. Credo che questa sia una cosa sempre premiata, nei limiti della tutela della propria privacy. E’ una cosa che piace a tutti. Ad esempio, avevo molta paura di salire sul palco, non sapevo come comportarmi. Poi ci sono salito e mi sono comportato con onestà. Avevo paura, l’ho detto e questo mi ha permesso di sentirmi un tutt’uno con il pubblico. È stato come fare un tacito accordo: ecco, siamo tutti qua, siamo tutti uguali anche se solo io sto sul palco… ma io c’ho paura e potete capirmi. 

Se ti chiedessi, invece, un tuo difetto?

Più che il mio difetto, spero di non diventare mai ripetitivo! Quando scrivo, infatti, mi dico “questa cosa non la posso scrivere perché somiglia troppo a quell’altra che ho già scritto”. Più in generale, un mio difetto è la tendenza all’esagerazione…

In che senso? 

Per esempio nei rapporti o in quello che dico. In realtà io non lo considero un difetto, perché nei testi mi piace essere iperbolico, semplicemente per il gusto di amplificare un concetto che è alla pari di tutti gli altri, ma mi va di sottolineare. Non so se sia proprio un difetto, ma è quello che mi viene in mente adesso.

Samuel dei Subsonica, per l’uscita del suo debutto solista, suonava le sue canzoni in acustico per capire se reggessero anche senza arrangiamento. Dalle tue sembra quasi emergere l’esperimento opposto. Si percepisce una perfetta aderenza tra chitarra e voce tipica del buon cantautorato. Mi chiedo se avverti la “responsabilità” di aver reintrodotto la figura del cantautore nella scena musicale attuale o se è solo una naturale conseguenza del tuo percorso musicale.

È esattamente la seconda. Il fatto di ricoprire il ruolo di cantautore, ovviamente, mi carica di responsabilità, ma quello che ho fatto fino ad ora e che farò, sarà la conseguenza di un percorso mio, dei miei ascolti e del mio gusto. Cerco di fare il meno possibile caso al fatto che ho una responsabilità, perché se ci pensassi troppo forse non riuscirei a fare quello che faccio e a scrivere quello che scrivo. 

Borghese in borghese è un brano fresco quanto intelligente, che ci ricorda la tua provenienza dalla scuola romana, particolarmente vicina alla figura di Daniele Silvestri. Senza entrare nel giudizio, più che le tue influenze, vorrei sapere se c’è invece un genere da cui prendi le distanze.

In realtà la mia cultura musicale non va per generi e nemmeno per autori, quanto piuttosto per brani singoli. A me piacciono singoli brani di vari generi completamente opposti tra loro senza una coerenza con i miei gusti. Quindi non saprei risponderti. Non c’è un genere che mi dà fastidio o che non mi piace. Io ho in mente di fare qualunque cosa e mi piacerebbe sperimentare qualunque tipo di genere e ritmica. In realtà non saprei risponderti neanche se mi chiedessi qual è il mio cantautore preferito.

Infatti, in uno dei tuoi ultimi singoli – Le ruote, i motori! – si avverte un suono leggermente più “moderno” che a tratti ricorda Andiamo a comandare di Rovazzi. E’ un tentativo di accostarti ad un “sound più in voga” che ti avvicini maggiormente a un pubblico, magari più eterogeneo, o è solo un tentativo di sperimentazione?

Come ti dicevo prima: semplicemente per la voglia di sperimentare qualcosa di diverso. È un brano che ho scritto mentre ne scrivevo altri completamente opposti. Se poi serve ad allargare il pubblico ben venga e sicuramente non disdegno! Però non è fatto per quello, piuttosto è fatto perché mi diverto con la cassa in 4 e la volevo fare anche io! 

A proposito di brani diversi tra loro, in uno dei tuoi testi nomini Lucio Dalla. Una curiosità personale: a quale canzone nello specifico pensavi?

In realtà non ne ho una specifica, anche perché poi la canzone cita un brano specifico di Enzo Carella che si chiama Malamore. Per Dalla, non so, mi viene in mente Balla balla ballerino, ma solo perché dico “per vederti ballare”, quindi probabilmente è quello nella mia testa, però vorrei che ognuno ci mettesse quello che gli pare immaginando la scena. 

È finito da poco Sanremo. Se potessi avere la possibilità di essere uno degli artisti che hanno cavalcato il palco dell’Ariston in 70anni di Festival, quale vorresti essere?

Oddio! Anche questa è complicatissima! Forse Renato Zero perché ho visto che quando è andato a Sanremo ci metteva molta anima. Però magari domani cambio idea. Ti ho detto Renato Zero perché spesso mi piace quello che non sono, in quanto ho un altro tipo di modo di stare sul palco, di apparire e di propormi. Il mio è un atteggiamento molto più asciutto perché ho paura di osare…

Quindi lontano da Achille Lauro…

Ecco! Lui mi è sembrato molto simile a un Renato Zero e mi è piaciuto anche molto! 

Per finire: dimmi cos’è la vita veramente?

La vita veramente è semplicemente riuscire a godersi una cosa mentre la si sta facendo senza raccontarsela in testa. Quella canzone è un monito. Mi serve a ricordarmi che mentre stiamo parlando noi due, io devo semplicemente parlare con te e non pensare al fatto che sto parlando con te. Questa è una cosa che mi appesantisce molto e vorrei eliminarla completamente dalla mia vita. Mi piacerebbe godermi ogni cosa al 100% senza guardarmi all’esterno o pensare a cosa avrei potuto dire.