L’inquieto Hugo Race (qui la nostra recente intervista) torna con i Fatalists, vale a dire Diego Sapignoli e Francesco Giampaoli dei Sacri Cuori, sodali di lunga data che hanno collaborato alla produzione di “Taken By The Dream”. Sia sul disco che sul palco si unisce a loro anche la Jazzmaster di Giovanni Ferrario (ex Scisma, Pj Harvey e, per limitarsi alla “galassia Hugo Race”, anche True Spirit e Sepiatone).

Il poliedrico artista australiano ritorna a un anno dall’ultima pubblicazione a nome Dirtmusic, una delle sue infinite creature musicali che condivide con Chris Eckman (The Walkabouts) & Chris Brokaw (Come, Codeine) entrambi ospiti anche di questo che è il terzo album a nome Hugo Race Fatalists (il primo del 2010 era in realtà un album solista intitolato Fatalists).

Sono lontani i tempi dei Birthday Party e dei Bad Seeds. In 30 anni di carriera Hugo Race ha vissuto mille vite e indossato i panni di songwriter, produttore, musicista, interprete, capo di una label discografica (la Helixed Records). La sua musica si è spinta dal folk al lounge, dal “trance industrial blues” alla psichedelia, dalla world music all’elettronica. Partito dalla Melbourne post-punk degli ’80, ha preso strade affascinanti che lo hanno portato dall’Africa alla Turchia, da Berlino alla Romagna.

Race è storicamente aperto a collaborazioni con artisti di tutto il mondo, ma per “Taken By The Dream” si parte dall’Italia, dove ha vissuto a lungo e intrecciato legami fortissimi, anche se dal 2011 è tornato in Australia. L’album infatti è stato registrato nel ravennate (nello studio di Giampaoli), mixato a Catania (nello studio di Cesare Basile) ed è stato pubblicato il 26 aprile da Glitterhouse Records e Goodfellas. Oltre a quelli già citati, gli ospiti in studio vedono Bryan Colechin (nei The True Spirit, il suo ventennale “trauma collettivo berlinese”), la violinista Vicki Brown dei Calexico, in formazione sin dagli inizi e le incursioni all’armonica di Michelangelo Russo, altro suo socio di innumerevoli scorribande musicali.

“Taken By The Dream” è un disco che si pone a metà fra l’illusione e la nostra granitica convinzione di essere sempre consapevoli di quello che ci accade attorno; soprattutto del nostro passato, anche se continuiamo a proiettarci verso il futuro. Sono elementi che ritroviamo in questo lavoro, capace di sintetizzare influenze antiche e contemporanee; Race e i Fatalisti prendono le mosse dal folk americano più tradizionale e dal cantautorato, lambiscono territori morriconiani, ma non si risparmiano pennellate elettroniche e psichedeliche. Risulta evidente un notevole lavoro di studio che fa suonare il disco attuale nonostante l’impalcatura sonora resti quella di un folk classico, che si contamina strada facendo e si trasfigura, sporcandosi persino di echi dub. Le 10 canzoni tracciano una linea ideale che riesce a far dialogare Calexico e The National, Morphine e Giant Sand, Woven Hand e Devastations, tutto sotto l’immancabile aura maledetta di Nick Cave e il sentimento alt country delle Fields Song di Mark Lanegan.

La voce scura e calda di Hugo Race sfiora il blues, si muove fra paesaggi onirici, luoghi a volte inospitali e poco illuminati dell’anima, le atmosfere raccontate sono cinematografiche, quasi tangibili: una giungla di percussioni ci sommerge in Gonna Get High, in Symphony bagliori di incendi notturni ci ipnotizzano, in Smoking Gun una cadenza marziale ci introduce a uno scenario spaghetti western; le slide di Fools Gold tratteggiano strade polverose di frontiera. Eccellente il terzetto di apertura che fissa le coordinate del viaggio organizzato dai Fatalisti: Phenomenon, densa di nostalgia per una donna, Bow and Arrow un duetto dalle sfumature noir con la cantante neozelandese Lisa Crawley, la meravigliosa This Is Desire, tex-mex tormentato di cui Burns e Convertino potrebbero rivendicare la paternità. Canzoni sul dolore e sulla gioia, sull’amore e l’abbandono vissuti come facce della stessa medaglia; oscurità che non è figlia della disperazione, ma dei sogni, come quelli in cui resta intrappolato Race nel quasi-spoken di chiusura che dà il titolo all’album.

Il fato incombe, Hugo Race lo ritiene la principale fonte di intuizioni a cui affidarsi. Meglio se dopo un periodo di pausa trascorso davanti a spiagge da surf, “in fondo all`Ocean Road, in un piccolo villaggio, dove tutto quello che puoi sentire è il martellare dell`Oceano Antartico e il vento che ulula attraverso gli alberi”. Allora mettiamola così: “Taken By The Dream” è il risultato di un fato quanto mai ispirato, un lavoro molto centrato, che sa toccare corde profonde, evoca immaginari suggestivi e non si lascia dimenticare in fretta; oltre al fato ci sono una band in stato di grazia e Hugo Race impeccabile nel ruolo di confidenziale narratore notturno che fanno il resto.

Andrea Bentivoglio