Con Everything Must Go, i Goose (non la punk band, l’altra) si spingono oltre i confini della jam band tradizionale, infilando tra le note un bel po’ di drama interiore che farebbe invidia a qualsiasi soap opera. Se pensate che il cambiamento di formazione fosse solo una scusa per vendere t-shirt nuove, vi sbagliate di grosso: questo album è la risposta musicale a un anno turbolento che ha visto la band passare dalle feste nei club a sold-out in arena – e non senza qualche scandalo dietro le quinte. Tra l’uscita di Ben Atkind, fondatore e batterista, e l’esclusione misteriosa del percussionista Jeff Arevalo (che, come da tradizione, ha lasciato più domande che risposte), i Goose non si sono lasciati abbattere. Anzi, sembrano aver preso tutta la drammaticità dei cambiamenti interni e l’hanno trasformata in un’opera epica che, con ben 14 tracce e oltre 90 minuti di musica, promette di far impazzire chiunque sia disposto a tuffarsi in un mare di riflessioni sonore.
Con il nuovo batterista Cotter Ellis (noto per i suoi tocchi percussivi quasi magici, tanto da far sembrare la batteria una specie di oracolo), la band ha dato una bella spinta alla propria identità sonora. Il produttore D. James Goodwin, che ormai sembra il quinto membro non ufficiale, ha plasmato Everything Must Go come un puzzle musicale che tiene insieme momenti di pura improvvisazione e pezzi straordinariamente composti.
Il disco parte subito con “Everything Must Go”, un brano che ti fa capire che, con Ellis dietro la batteria, la band ha preso sul serio il concetto di “rinnovamento”. La melodia avvolgente, quasi mistica, ti prende per mano e ti porta in un viaggio che, se non altro, ti fa dimenticare che questa è una band che ha cambiato formazione più volte di quante non ne abbia cambiato gli accordi. Ma non preoccupatevi: la vera sorpresa arriva con “Give It Time”, un inno che celebra il percorso della band. Qui, tra un crescendo e l’altro, sembra che Mitarotonda stia cantando “Guardateci, siamo arrivati”, con un pizzico di quel tocco evangelico che non può non far pensare a “Oh, ce l’abbiamo fatta”.
Poi c’è “Dustin Hoffman”, che inizia come una marcia funky anni ’70, per poi evolversi in un mix di suoni che può tranquillamente essere definito “indie pop a caso” ma con un certo fascino. Se pensavate che la band avesse abbandonato le sue radici jam in favore di un sound più da radio, beh, vi sbagliate di grosso: “Your Direction” è un tuffo nei Fleetwood Mac più sonnambuli, un pezzo che sussurra ai venti della California, mentre gli altri si chiederanno se davvero i Goose sono ancora gli stessi ragazzi da New Haven.
La parte centrale dell’album è dove il gruppo si diverte davvero: da “Thatch”, che ti fa sentire come se stessi camminando in una strada deserta di notte, a “Lead Up”, che sembra scritto con le lacrime versate dopo un concerto di Bon Iver. Non mancano momenti più festosi: “Animal” è il tipico brano da danza di gruppo, una miscela di groove selvaggio e fiati così pieni di energia che sembrano più una banda da New Orleans in trasferta. E poi c’è “Red Bird”, che potrebbe essere tranquillamente una ninna nanna per adulti, mentre “Atlas Dogs” fa sembrare la band più una tribù in festa che un gruppo di rockettari. La sezione fiati, composta da Stuart Bogie e compagni, fa il suo ingresso trionfale, regalando il giusto tocco da Big Easy in “California Magic” e portando la festa a pieno ritmo con “Feel It Now”. Alla fine, ci aspettavamo qualcosa di bizzarro da un gruppo che ha sempre avuto un certo lato eccentrico, e non siamo stati delusi. “Iguana Song” è praticamente un incontro tra i suoni chiptune e un’allegria psichedelica che, senza vergogna, cita apertamente i Ween. Il disco si chiude con la suite “Silver Rising” / “How It Ends”, dove la band sembra dire: “Sì, è stato un viaggio strano, ma guardate come siamo bravi a fare il nostro lavoro. Godetevelo”.
In definitiva, nonostante i drammi interni che sembrano persino troppo perfetti per non essere stati scritti da una sceneggiatura, Everything Must Go è un disco che strizza l’occhio a chi ama la band per la sua capacità di evolversi senza mai perdere il suo spirito libero. Se c’è una cosa che i Goose ci insegnano con questo album, è che, quando tutto sembra andare a rotoli, basta un po’ di jam e una batteria che sappia come fare festa per far tornare tutto come dovrebbe.

Smemorato sognatore incallito in continua ricerca di musica bella da colarmi nelle orecchie. Frequento questo postaccio dal 1998…
I miei 3 locali preferiti:
Bloom (Mezzago), Santeria Social Club(Milano), Circolo Gagarin (Busto Arsizio)
Il primo disco che ho comprato:
Musicasetta di “Appetite for Distruction” dei Guns & Roses
Il primo disco che avrei voluto comprare:
“Blissard” dei Motorpsycho
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Parafrasando John Fante, spesso mi sento sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo, del terribile significato della sua presenza. Ma poi metto in cuffia un disco bello e intuisco il coraggio dell’umanità e, perchè no, mi sento anche quasi contento di farne parte.
