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Jumpin’ Quails appartengono a quella parte di musicisti che si stanno spingendo sempre più verso un rock elettronico, in cui gli effetti di una tastiera sono ormai diventati i principali protagonisti: dove una volta si usava la chitarra per personalizzare il proprio sound, adesso ci pensano i synth.

Avendo ascoltato anche il primo lavoro, Atomic Rendez-Vous, nel nuovo Gogol Mogol, le contaminazioni questa volta del synth sono più marcate.

E va bene, perché il risultato è interessante.

Attraverso l’etichetta indipendente Edison Box torinese, hanno fatto uscire questa primavera il loro secondo prodotto, che porta un’aria nuova, differente, contaminando uno stile tutto personale. In questo loro secondo album, i Jumpin’ Quails riescono a rimanere all’interno dell’onda electro/indie/rock/psych ma dando alle loro canzoni un tocco proprio che permette di far scivolare velocemente e piacevolmente questo loro ultimo lavoro.

Perle preziose: inserire monologhi in serbo (?) o russo (?) all’interno di alcune tracce, evidenziando il legame che ha portato la nascita di quest’album, Gogol Mogol e la cultura proveniente da quella parte molto lontana, ad est dell’Europa. Le scelte stilistiche di casi del genere non vanno interrogate troppo a fondo, nel senso che non ci interessa sapere il perché di queste associazioni, ma ci piace l’effetto creato: nonostante i dialoghi russi/serbi possano essere riferiti ad un qualunque argomento, come vengono incastrati all’interno di una canzone come Breakin’ the Glass o come Rainbow Flesh danno un non so che di senso politico alla traccia. Le Grand V è il pezzo che più ho ascoltato, nonostante i singoli scelti dalla band siano Chloè e Rainbow Flesh, ma di solito non apprezzo mai ciò che viene spinto, piuttosto ciò che non viene particolarmente cagato.

Federico Trevisani