Ci sono artisti inspiegabilmente e ingiustamente troppo sottovalutati e Gaz Coombes è uno di loro. Probabilmente perché puntano tutto sulla musica e se ne fregano dell’immagine, dei social e tutta quella roba lì. Così Gaz, in punta di piedi, piazza il suo terzo album solista e non vuole più essere ricordato come “quello dei Supergrass”, perché la sua carriera solista merita assolutamente un riconoscimento. Nonostante “Matador” (2015) sia stato molto ben accolto dalla critica, tanto da ottenere una nomination ai Mercury Prize, a livello di pubblico non ha avuto il successo che meritava.

Si dice che non bisogna giudicare un libro dalla copertina, e supponiamo che lo stesso valga per i dischi. Stavolta però vogliamo partire proprio dall’artwork. Sì, perché è affascinante, misterioso oltre che esteticamente bello. Per fotografia e colori sembrerebbe un frame di una pellicola di Wes Anderson. Ma chi è l’uomo più forte del mondo? Non lo sappiamo e nemmeno Gaz sembra fregarsene molto, lì disteso a bordo piscina. Sembra godersi la condizione di consapevolezza raggiunta attraverso un percorso di crescita, a tratti anche dolorosa, sia come artista sia come uomo.

Eh sì, perché ne è passato di tempo dai Supergrass di

We are young, we run green
Keep our teeth nice and clean
See our friends, see the sights
Feel alright

(Supergrass – Alright, 1995)

In un’intervista di qualche mese fa per NME, Gaz non fa mistero dei problemi di ansia e depressione sofferti in passato e la sua scelta di mettere dei riferimenti qua e là all’interno di questo album, come una sorta di riflessione per se stesso e per gli altri sulle debolezze e la vulnerabilità di ciascuno. Questo disco è anche un’occasione per mettere in discussione il concetto di mascolinità nel 2018, che continua a danneggiare la società, dalle persone comuni fino alle celebrità e i leader mondiali.

I’m a little mashed up
I’m the world’s strongest man
Call me when the fire starts
But don’t call me if it gets too hot

(World’s Strongest Man, 2018)

Vedere alla voce Trump?

Fonte d’ispirazione per questo album è il libro “The Descent Of Man” (Il Declino del Maschio) di Grayson Perry, uno tra i maggiori artisti contemporanei britannici che in prima persona studia la questione dell’identità di genere e nonostante sia marito e padre, da anni si veste da donna facendo della sua vita una performance continua.

Adesso è tutto più chiaro e riusciamo a cogliere l’ironia nel titolo.

Ma ora veniamo alla musica. Gaz non ci fa mancare nulla. Ribadisce le sue doti di songwriter e condisce il tutto con un mix di sonorità vario, originale e ben prodotto: falsetto e chitarre garage accattivanti à la Jack White con sottofondo di synth ipnotici in World’s Strongest Man e Vanishing Act; chitarre distorte e ritmi martellanti molto kraut rock e noise che strizzano l’occhio ai Black Rebel Motorcycle Club in Deep Pockets, l’azzeccatissimo primo singolo estratto dall’album.

Si va dalle influenze soul e R&B di Walk The Walk allo splendido pianoforte di Shit (I’ve Done It Again), dai ritmi ipnotici di Slow Motion Life alla coralità di Wounded Egos che ricorda gli Arcade Fire.

Fidatevi, Gaz è come il vino: più invecchia e più diventa buono. E questo è uno dei migliori album del 2018 fino ad oggi.

Oriana Spadaro