“Fru Fru” è il quinto disco da solista di Stefano Rampoldi, in arte Edda. Un album azzeccato, dal nome altrettanto azzeccato. Talmente privo di mezzi termini e discorsi fra le righe che più onesto non sarebbe potuto risultare. Un’evoluzione evidente. Assieme alla sua etichetta, la Woodworm Label, e al suo produttore e arrangiatore, Luca Bossi, l’ex leader dei Ritmo Tribale ha intrapreso un percorso che, trasposto in arte, ha preso forma sempre più concretamente. Passo dopo passo, sempre più limpido, come già un paio d’anni fa avevamo piacevolmente scorto in “Graziosa utopia”.
Questi nove testi scritti e cantanti senza mai indorare la pillola, anche se in chiave prettamente ironica, vanno dritti al dunque, di pari passo con la ritmica funky andante con cui si aggrovigliano. I riferimenti e le sfide, tendenzialmente scherzosi e lanciati tipo sassolini in serie quasi fosse un gioco, sono tantissimi, mirati e pieni di significato, da rischiar di scoppiare senza mai scoppiare davvero.
Proprio come quando Edda canta “Vorrei l’Italia fosse tutta Gay” (“Italia Gay“), amarezza e umorismo si fondono e anche le questioni più delicate e sofferte vengono denunciate attraverso un’ironia sottile. Le urla, quelle davvero assordanti, forse non sono nemmeno poi così efficaci, o comunque non fanno per Edda. Giochi provocatori e provocazioni giocose si inseguono all’interno di tutto il disco, stuzzicandosi a vicenda, ma senza darsi chissà che tormento.
Questo è quello che vogliamo, ben più di un bell’acutone sintomo di perfezione vocale e alcune volte poco altro. Vogliamo parole concrete, pochi fronzoli, un mare e mezzo di sincerità che ci entri dentro, ed Edda, che sembra aver capito perfettamente tutto questo. Un modo di esprimersi attraverso musica e parole che per alcuni potrebbe risultare irritante ed eccessivo perché forse, anzi sicuramente, Edda non è per tutti. Per me sì.
Camilla Campart
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