La scorsa settimana, aspettando che iniziasse Cannes parlavo con un amico di quanto ultimamente Almodovar fosse più simile ad Ozpetek che a se stesso. La sua filmografia si divide nella mia mente in due sezioni, quella manieristica e quella almodovariana, che ti scava nel cuore. Più si invecchia più ci si commuove con “Tutto su mia madre”, o forse mi commuovo di più perché il tempo passa anche pe me. Negli anni se penso ai suoi film mi è restato nel cuore Volver, col suo vento, la madre del regista e le sue vicine, quelle che vengono nominate anche nell’ultimo film di Almodovar (ormai non più Pedro, ma solo col suo marchio, come se fosse Dalì e chissà se il piccolo Salvador non è un riferimento), dove si è ritrovato, forse, con un insperato capolavoro.
Dolor y Gloria, ha il gusto voyeuristico della biografia, senza l’autocompiacimento de “Gli abbracci spezzati”. Un racconto onirico, che si perde tra i fumi dell’oppio annegando nel ricordo, per cui si fatica a trattenere le lacrime. Fluido, narrativamente impeccabile (nessuno stacco netto almodovariano), un film dove i piani si confondono, dove il protagonista si disperde tra regista, attore, scrittore e narratore, finendo per essere tutti questi, senza cesure, in un’unica voce che lega la vita all’arte.
Perdendosi in un viaggio nel passato, Almodovar compire un’analisi di struggente introspezione sulla propria origine, sul rimpianto, su quanto è ormai fuggito e spezzato. Più un personale “Posto delle Fragole” che un intellettuale “8 e ½”, dove l’atmosfera onirica non è permeata dall’ inquietudine spettrale ma dalla nostalgia. Per Dolor y Gloria penso a questo termine, nella propria etimologia, come il dolore (fisico, esistenziale, spirituale) del ritorno, dal quale non si può fuggire e con cui prima o poi dovremo decidere se lottare o se soccombere. Freud pensava che la nostalgia fosse il desiderio frustrato di tornare alla madre, di tornare in una dimensione del tempo vissuto ormai perduta e non è un caso che la ritrovasse nel lutto e nei processi psichici che la vita impone all’uomo, per superare il dolore.
Dolor y Gloria potrebbe essere vissuto come un viaggio nell’oscurità della malinconia, finché l’amore non ci riporta alla vita. Il primo desiderio del regista potrebbe essere stato la madre, il cinema, il primo amore o più propriamente tutti e tre, senza distinzione. Ma solo il regista può saperlo, quello che possiamo fare, è amare un suo film e il suo cinema.
Un vero e complesso capolavoro con un Banderas inatteso, eccezionale, nell’interpretazione della vita.
a cura del Demente Colombo
Il trailer
la trama del film
Dolor y Gloria racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, l’incommensurabile vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film. Dolor y Gloria parla della creazione artistica, della difficoltà di separarla dalla propria vita e dalle passioni che le danno significato e speranza. Nel recupero del suo passato, Salvador sente l’urgente necessità di narrarlo, e in quel bisogno, trova anche la sua salvezza.
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Smemorato sognatore incallito in continua ricerca di musica bella da colarmi nelle orecchie. Frequento questo postaccio dal 1998…
I miei 3 locali preferiti:
Bloom (Mezzago), Santeria Social Club(Milano), Circolo Gagarin (Busto Arsizio)
Il primo disco che ho comprato:
Musicasetta di “Appetite for Distruction” dei Guns & Roses
Il primo disco che avrei voluto comprare:
“Blissard” dei Motorpsycho
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Parafrasando John Fante, spesso mi sento sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo, del terribile significato della sua presenza. Ma poi metto in cuffia un disco bello e intuisco il coraggio dell’umanità e, perchè no, mi sento anche quasi contento di farne parte.