
“Lingonberry” è il secondo album della band milanese Deaf Lingo, fuori per l’etichetta svedese Lövely Records. Nel seguito di “Bug” (2017), il quartetto persegue le intuizioni punk lo-fi dell’album di esordio. Il disco, registrato all’EDAC Studio da Davide Lasala e Andrea Fognini, include dieci tracce che incorporano il solido garage-rock della band e lo indirizzano in uno scenario più melodico. Gli elementi imprescindibili di questa ricetta sono le chitarre voluminose di Sandro Specchia e Yuri Ferrari, il basso puntuale di Gabriele Zaramella e la dinamica batteria di Mauro Ronchi, sempre presente ma mai fuori posto.
“Lingonberry” dura poco meno di mezz’ora, ma fa il suo sporco lavoro. L’alienazione e l’apatia raccontate nei testi prendono forma nell’energico sound che non si dilunga oltre il dovuto e alterna il rumore gridato di Push It a momenti più suonati e melodici come in Cars and Houses. Uno dei pregi dell’album è che lascia addosso una gran voglia di live. E non è difficile immaginarsi in mezzo al pogo mentre i Deaf Lingo suonano, per esempio, la title track. “Lingonberry” è una scossa elettrica da non perdere.
Mattia Sofo

Mi racconto in una frase: “Il segreto è il whiskey” (dopo aver ottenuto il foglio rosa)
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica: Alcatraz (Milano), Serraglio (Milano), Circolo Ohibò (Milano)
Il primo disco che ho comprato: Doveva essere qualcosa di Ligabue.
Il primo disco che avrei voluto comprare: Pink Floyd – Atom Heart Mother
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Mi piace andare al cinema da solo.
