A trent’anni dal loro esordio, i Rancid sono tornati nel 2023 con il loro decimo album in carriera. In un’immaginaria separazione fra gli album di puro punk (“Rancid”, “Rancid 2000” e “Honor Is All We Know”) e quelli maggiormente dediti a una forma di musica ribelle aperta a vari generi, dal reggae allo ska, dal country alla black music, dal rock’n’roll al cantautorato (“…and Out Come the Wolves”, “Life Won’t Wait”, “Trouble Maker”… ), questo “Tomorrow Never Comes” fa parte della prima tranche. Di questa riprende energia (invidiabile in una band che mediamente supera senza difficoltà il mezzo secolo), attitudine, velocità, ma anche una non troppo celata deriva melodica.

Tuttavia sono poche le canzoni che rimangono in mente dopo i primi ascolti: sicuramente la title track, Devil in Disguise e l’anthemica Live Forever. Sia chiaro, se questo album fosse stato pubblicato da una band esordiente, saremmo qui a gridare al miracolo, ma essendo un lavoro di Tim Armstrong e soci qualche cosina viene da chiedersela. Innanzitutto se il leader non abbia ormai scelto (da anni aggiungerei) di lasciare tutta la sua vena “sperimentale” compositiva al di fuori del progetto madre. In tal caso andremo ad ascoltarci i Bad Optix o i figliocci The Interrupters per i ritmi in levare e Tim Timebomb per tutto il resto.

“Tomorrow Never Comes” serve quindi ad alimentare la leggenda di quella che probabilmente è la più grande punk band in circolazione e a permetterle di regalare ai tanti fans in tutto il mondo concerti a dir poco paurosi, la cui scaletta, però, è ancorata strettamente e nostalgicamente ai vecchi lavori. Che sia forse giusto così?

Andrea Manenti