Weem, dei De Rosa, è un bel disco! Non esaltante, ma bello sì. Un album che mentre lo ascolti non trovi nulla che sia fuori posto o fuori fuoco, che potrebbe durare due ore come il tempo di una sigaretta e in ogni caso sarebbe sempre comodo.
Weem è anche una parola di origine gaelica, che grossomodo significa grotta, caverna abitata e che, a sua volta, da il nome a un villaggio nell’area rurale di Perth, in Scozia.
I De Rosa in Scozia ci sono nati e cresciuti e più precisamente hanno passato i loro inverni a Bellshill, nel North Lanarkshire, una delle regioni del paese in cui le radici storiche e tradizionaliste si ancorano più in profondità.
Questo è il sottofondo imprescindibile di Weem. Tuttavia i rimandi alla musica folk britannica sono solo il sostrato comune di un incredibile pot-pourri di influenze, che pesca nelle varie declinazioni che il pop e rock del regno unito ha saputo sfornare negli ultimi 30 anni. O comunque nelle sue espressioni più soft e meno mainstream.
Il disco forse risulta meno stimolante dei due lavori precedenti, ma di sicuro è molto accomodante e si esprime con la chiara volontà di spaziare in una gamma di sonorità ben definita. Un mix bilanciato di atmosfere eteree e melodie gradevoli e orecchiabili, chitarre leggermente sporcate e puntuali cesellature sintetiche, voci e ritmiche effettate, tastiere minimali e dinamiche curatissime, il tutto sempre nelle giuste dosi.
Insomma, in Weem non c’è nulla di eccessivo, di estremo, di complesso: vince la semplicità e vince bene.
E proprio in virtù di ciò credo sia impossibile rischiare di confondere proprio questa esemplare semplicità con la banalità, di cui mai il disco si macchia. La ricerca dei suoni e la cura negli arrangiamenti, infatti, permette al trio scozzese di catalizzare l’ insieme estremamente eterogeneo di citazioni stilistiche, metabolizzarle, ridurle all’osso, rielaborarle secondo la propria personalità e farne fuoriuscire un prodotto assolutamente bello da ascoltare.
Mirko Catani
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.