David Byrne. Genio musicale che a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, prima con i suoi Talking Heads poi in veste solista, ha anticipato mode ed attitudini fra punk, new wave e world music. A sei anni dalla precedente prova “Love This Giant” in collaborazione con St. Vincent, David torna più in forma che mai con un album dal forte impatto politico anti-statunitense, co-prodotto con il compagno di moltissime avventure Bian Eno.
L’apertura è affidata alla programmatica I Dance Like This: inizio soft piano e voce, una voce che ricorda quella di un altro grande personaggio della scena newyorkese (Lou Reed, qui soprattutto quello accoppiato al socio John Cale per l’omaggio alla morte del mentore Andy Warhol) e in mezzo sprazzi ritmici elettronici che sembrano descrivere perfettamente l’uomo del nuovo millennio. Un uomo ancora di carne, ma anche macchina, motore, una macchina ormai globale, come suggeriscono le atmosfere vagamente orientali della successiva Gasoline and Dirty Sheets.
Ritmiche terzomondiste e un ritornello pop d’altissimo livello, di quelli che non ti si schiodano più dal cervello, rendono grande Everyday Is a Miracle. Gli archi aprono Dog’s Mind, un’intensa ballata dai toni cinematografici, che sembra quasi di risvegliarsi in mezzo alla savana. Con This Is That i tratti si fanno più cupi e rarefatti, laddove invece It’s Not Dark Up Here è una canzone dance che guarda al passato dei Talking Heads e al fantasma dell’eterno David Bowie. Una cassa che sembra il battito del pianeta e una melodia che sa d’archetipo, d’origine e tristezza, compongono Bullet, che lascia poi spazio a un arpeggio di chitarra che apre a soluzioni orchestrali mai eccessive in Doing The Right Thing.
Verso la fine arriva il singolo Everybody’s Coming to My House: eccentricità e schizofrenia come ai tempi d’oro della creatura fatta di teste parlanti. Infine la dimensione dello spazio più profondo si unisce, nella conclusiva Here, all’uomo, protagonista assoluto del suo destino, così come alla Terra e al suo infinito battito.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.