In Italia si può essere un duo, amare la chitarra e non essere Il Pan del Diavolo. Prima differenza è l’idioma scelto, che qui è l’inglese. Seconda, il fatto di voler abbellire il proprio sound spesso e volentieri di pregevoli ricami elettronici.
da Black Jezus. Il blues e il soul, il diavolo e l’anima. Luca Impellizzeri e Ivano Amata vengono dalla Sicilia e amano mescolare il folk più acustico alla black music americana, con arrangiamenti che spesso si avvicinano al soul o al gospel, come anche ad alcuni grandi songwriter contemporanei (Anohi, Hozier, Paolo Nutini).
Dopo l’EP d’esordio “Don’t Mean a Thing” di tre anni fa, i da Black Jezus tornano con nove nuove canzoni dove la loro impronta stilistica si fa ancora più forte. A voler essere pignoli, forse è talmente forte che i brani spesso tendono un po’ troppo ad assomigliarsi fra loro. Spiccano la minimale title-track, la tensione di You Made the Rules, l’elettronica Dry e il conclusivo crescendo con tanto di organo rhodes, batteria e slide in Sometimes. Un esordio su lunga durata più che onesto.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.