Milano, 21 ottobre 2024

I Calibro 35 sono la migliore band italiana. Come vi suona questa frase? Secondo me, fa poche pieghe. Soprattutto dopo aver assistito al loro live al Teatro Dal Verme di Milano. L’occasione era ghiotta: un concerto in platea, bello paciarotto, inserito nel calendario di Jazzmi, la rassegna di genere diventata ormai un’istituzione meneghina. A questo giro i Calibro calzavano proprio a pennello. Freschi della pubblicazione del nuovo EP “Jazzploitation”, hanno approfittato dell’invito per presentare il loro ultimo lavoro al pubblico, di certo nella cornice più adatta. Ne è uscita una grande serata di musica, che ha saputo esaltare le tre grandi peculiarità del combo milanese.

Quali? Beh, partiamo dalla più affascinante. La forza evocativa. Ai Calibro 35 bastano poche note per trascinarti in altri mondi fatti di celluloide altamente infiammabile. Titoli di testa di un qualche film del passato, che ti rovesciano addosso un carico pieno di polvere da sparo, ordigni artigianali e vecchie carcasse di Alfa Romeo Milletrè benzina. Questa volta, però, lo abbiamo detto: l’occasione era speciale. Spazio quindi anche ad altri universi già cari alla band. Primo fra tutti quello retro-fantascientifico sul modello Invasione degli ultracorpi. I brani tratti da “Decade” e “S.P.A.C.E.”, in particolare, hanno infuso un terrore che sembrava trasalire davvero dallo spazio profondo. I dialoghi frequenti tra le tastiere e i sintetizzatori di Enrico Gabrielli e Massimo Martellotta hanno inacidito il viaggio con qualche tappa dalle parti dei Goblin.

D’altronde la commistione di più generi (ed eccoci alla seconda peculiarità) contraddistingue da sempre la band. È vero, di solito si parte dal funk. Ma in men che non si dica puoi trovarti ad ascoltare rock sperimentale, soundtrack orchestrali, jazz prestato al cinema, trip hop (bellissima la versione live di A Future We Never Lived). Ma in tutto questo non c’è nulla di puro, perché i Calibro preferiscono “inquinare” il loro suono piuttosto che ripulirlo. Al Teatro Dal Verme hanno cavalcato questa tendenza con risultati eclatanti. Non era funk, non era rock e non era nemmeno jazz. Era “Jazzploitation”, il neologismo che dà il titolo all’ultimo EP e che descrive perfettamente lo spettacolo inedito portato in scena. Il jazz, inteso come ispirazione, e l’exploitation, inteso come genere feticcio e rivalutazione dell’usato.

Ecco dunque che nella lunga scaletta milanese, per quasi due ore di concerto, hanno fatto capolino perle come Chameleon di Herbie Hancock, suonata in apertura a mo’ di manifesto programmatico, Vitamin C dei Can, cantata da Gabrielli, e Aschenseur pour l’echafaud di Miles Davis (compresa nel nuovo EP). Altre soprese? Per esempio Discomania, titolo della vecchia sigla di “90° Minuto” scritta da Piero Umiliani, da sempre fonte di ispirazione per il gruppo. Oppure Mission Impossible, piazzata prima dell’encore per aizzare la platea.

Nulla di tutto questo sarebbe possibile per un gruppo di musicisti mediocri. La tecnica è l’ingrediente numero tre della ricetta Calibro. Enrico Gabrielli, ciuffo verde ben in vista, guida la brigata come si guida un bolide inseguito dalla polizia. Suona tutto, anche due strumenti alla volta. La batteria di Fabio Rondanini è impeccabile. Sfiora il jazz quanto basta e macina un groove raffinato, mai fuori posto. Al basso c’è Roberto Dragonetti, che ha sostituito egregiamente Luca Cavina, mentre Massimo Martellotta scambia spesso le redini con Gabrielli. In regia c’è il produttore Tommaso Colliva.

Che dire di più? Tutto molto bello, anzi bellissimo, applausi scrocianti. Ma due spettatori insistono gridando dalla balconata. Vogliono ascoltare anche Notte in Bovisa. Alla fine vengono accontentati. La band rilancia e suona pure un altro classico, CLBR 35. Doppia libidine e tutti a casa felici.

Paolo