Milano, 19 febbraio 2020

Periferia milanese. Una banda di balordi entra in banca con i fucili a pompa. Nessun metal detector all’ingresso, ai tempi non c’erano. Le donne urlano e si nascondono sotto i tavoli. Il direttore viene preso in ostaggio. Ha la fronte madida di sudore. «Portaci al caveau, stronzo!». Trema come un bambino, il pisciasotto. «Questo è tutto quello che abbiamo in cassa», dice. Dieci milioni possono bastare. Sirene in lontananza, gli sbirri sono in arrivo. Allora tutti fuori, e in fretta. La macchina sgomma via lungo l’alzaia. L’Alfetta della polizia segue a ruota. Alla guida c’è Luc Merenda, idolo assoluto. Speronamenti, nuvola di polvere, l’inquadratura si sposta sulla ruota anteriore. Un pirla in moto finisce nel Naviglio. Curva a gomito sul ponte di Porta Genova. Testacoda, mega schianto frontale e fine della corsa.

Fino a qualche anno fa, questo era il mondo iperbolico in cui finivi immerso con i dischi dei Calibro 35. Poche note e ti sentivi protagonista di un poliziottesco di Umberto Lenzi o Stelvio Massi, la scena dell’inseguimento. Oggi non è più così. Con il nuovo album, “Momentum”, la band milanese ha cambiato rotta, ha provato a rinnovarsi. Sia ben chiaro, la componente thriller resta il marchio di fabbrica, l’ossatura su cui il gruppo costruisce i propri brani. Ma dalle rapine a mano armata nella Milano da bere, sono passati ad atmosfere più oscure. Tra la fantascienza anni ’90 di John Carpenter, la black music e nuove suggestioni hip hop.

Ebbene, il live al Fabrique di Milano ha mescolato il passato e il presente della band, fondendo l’uno nell’altro, in una scaletta possente ed equilibrata. L’introduzione è affidata a Glory-Fake-Nation, il primo brano dell’ultimo disco, manifesto di questa nuova avventura stilistica di Massimo Martellotta, Enrico Gabrielli, Luca Cavina e Fabio Rondanini. I Nostri, uniti a Tommaso Colliva alla produzione, suonano investiti dai fasci di luce bianca di quattro lampioni montati ad arte sul palco. Di lì a poco, però, a prendersi la scena sono Ensi e Ghemon, i primi due ospiti della serata. Il rap urlato e violento del primo unito alle rime più educate e rassicuranti del secondo si stagliano sulle note di Stan Lee (che sul disco è cantata da Illa J), regalando alla traccia una sfumatura naif decisamente azzeccata. Più avanti, lo stesso Ensi tornerà on stage per Massacro All’Alba, super pezzo del 2012 che ancora una volta si adatta alla perfezione al flow del rapper torinese, sempre molto emotivo e saturo di rime.

Il resto della scaletta, come dicevamo, alterna vecchi cavalli di battaglia alla tracklist di “Momentum”. Si passa con grande disinvoltura dal funky di SuperStudio al dub di Automata, dalle sospensioni oniriche di 4×4 allo space western di Bandits on Mars. Sul finale non mancano i classiconi: Giulia Mon Amour, Arrivederci e grazie e Notte in Bovisa. La qualità indiscussa dei musicisti in questione lascia sempre a bocca aperta, manco fosse la prima volta che i quattro marziani si esibiscono dal vivo da queste parti. Enrico Gabrielli è una macchina meravigliosa: gestisce tastiere, synth e sax allo stesso tempo, con una facilità disarmante. Fabio Rondanini costruisce ritmiche ossessive ritagliandosi il posto che gli spetta tra i migliori batteristi italiani. Martellotta e Cavina non sono da meno. Con loro al fianco appare tutto più semplice e terribilmente trascinante.

Durante il primo encore, Ghemon si fa di nuovo avanti per cantare la sua Rose Viola (quella di Sanremo, per intenderci). Ma l’uomo più atteso è certamente Manuel Agnelli, già annunciato sui canali social dei Calibro 35 qualche giorno prima del live. Il leader degli Afterhours compare soltanto alla fine, quando tutti pensavano che avesse dato buca. L’ovazione è scontata, e così pure la perfetta sintonia tra il cantante e la band di amici alle sue spalle. Insieme propongono una versione piuttosto spinta di Un ragazzo di strada de I Corvi. Una scelta forse troppo azzardata, perché il brano, per quanto bello, stona rispetto al resto del set. A mettere tutti d’accordo, però, è l’eccellente prova di Agnelli, che grazie alla sua maglietta dei Motorhead conquista anche i più scettici.

Quando la platea è sgombra e ci si avvia all’uscita, la sensazione è quella di uscire da un cinema. La potenza visiva dei Calibro 35, la loro carica cinematografica, restano intatte nonostante il cambio di marcia. Riuscire a illustrare la musica, oltre che a suonarla, è una prerogativa di pochissimi. Spiegarne l’effetto a parole è molto più complicato che lasciarlo intendere. È una questione di suoni, di corde sfiorate al momento giusto, di istantanee scattate a colpi ti batteria, tastiera, basso e chitarra. Se vogliamo, questa è la caratteristica che rende la musica un’arte superiore alle altre. Tutto sta nella sensibilità di chi la produce, del musicista che si fa insieme regista, pittore, fotografo. I Calibro 35 sono tutto questo, e lo hanno dimostrato ancora una volta.

Paolo

 

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Ph: Gaia Menchicchi

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