Built To Spill: un nome, un marchio di fabbrica. Dinosaur Jr., Minutemen, Mission of Burma, Replacements… Tanti sono i nomi che hanno fatto dell’indie-rock anni Ottanta statunitense un genere cult. Ma solo un gruppo ha saputo riprenderne il concetto di originalità unita alla totale indipendenza artistica negli anni Novanta: proprio loro, i Built To Spill. Creatura pressoché personale del genio musicale di Doug Martsch, la band dell’Idaho giunge quest’anno al proprio trentesimo anniversario, traguardo onorevole raggiunto senza particolari cali di ispirazione compositiva.
“When the Wind Forgets Your Name” è il nono album di canzoni originali in carriera, un disco che se ancora ce ne fosse bisogno conferma lo status di idoli del sottobosco alternative americano dell’attuale terzetto (oggi, oltre all’immancabile Martsch, fanno infatti parte del progetto anche i musicisti brasiliani João Casaes e Lê Almeida, che il pubblico italiano ha già avuto occasione di ammirare a nome Orua, proprio come band spalla dei Built To Spill nel maggio 2019).
La tracklist scorre affascinante e compatta attraverso gli ormai iconici soli di chitarra elettrica nipoti di Neil Young e figli di J Mascis, trame folk, un pizzico di psichedelia e tanto gusto melodico. La brevità pop dei tre brani d’apertura Gonna Lose, Fool’s Gold e Understood (nessuno supera i quattro minuti di durata) serve a riconnettere con facilità l’ascoltatore al mondo chitarristico di Martsch. Elements dona un connubio perfetto fra i primi Tame Impala e le ballad dei R.E.M., Rocksteady gioca inaspettatamente con una sezione ritmica dub, Spiderweb commuove nella sua classicità. Never Alright ed Alright giocano di antitesi a partire dal titolo, mentre Comes a Day è la nuova Broken Chairs (classico del 1999) ed esalta nella coda strumentale resa sonoramente come una sirena che si allontana e avvicina periodicamente. L’ennesima conferma di bravura.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman