Con questo articolo inauguriamo la nostra nuova rubrica “Roba da anzianotti”. Si tratta di uno spazio che abbiamo il piacere di condividere con il gruppo Facebook “Anzianotti (per lo swag)”, nato per commentare e condividere, anche in chiave autoironica, la passione per la musica che ha posto le basi per quello che oggi chiamiamo genericamente “indie”. Un gruppo composto da chi oggi, per citare il buon Max Collini, può fieramente ammettere di essere stato “indie prima di voi”. Lo spirito dunque è questo: scherzare un po’ con l’età che ormai avanza, con la nostalgia per i vecchi dischi (che sono sempre migliori di quelli nuovi) e raccontare in maniera semiseria le emozioni di un tempo. Buona lettura! 

 

Come primo disco anzianotto abbiamo scelto la ristampa fresca fresca di “Pleased To Meet Me” dei Replacements, il loro primo album senza il chitarrista originale Bobby Stinson, l’”animale” del quartetto, e infatti ci ritroviamo tra le mani anche il loro primo disco “adulto”, se non anzianotto; in ogni caso l’opera di un gruppo decisamente iconico per chi ha fatto più o meno parte della generazione x e quindi oggi si sente anzianotto per diritto guadagnato sul campo.

Su questo disco potrete trovare mille analisi, recensioni e approfondimenti, per cui non stiamo a perdere più tempo del dovuto sugli aspetti squisitamente musicali dell’opera: è un’ottima prova del gruppo di Minneapolis, non all’altezza di “Let It Be” e “Tim”, forse, ma di certo immediato, accessibile, grintoso eppure melanconico come da migliore tradizione dei Nostri. Forse un po’ meglio arrangiato dei precedenti anche per ragioni di budget, ma la poetica è più o meno la stessa proposta da “Hootnanny” in poi.

Più interessante è invece approfittarne per tirare un rapido bilancio di un gruppo di provincia come quello guidato da Paul Westerberg, che davvero, a livello di storia personale dei suoi membri e delle sue canzoni, sembra uno specchio abbastanza fedele degli indie “rockers wannabe” anni ’80 e ’90 che abitavano alla periferia dell’impero e che allo stesso si abbeveravano di suoni e immagini.

Voglia di darsi una voce, ma paura di mischiarsi con chi la tua voce vorrà sentirla. Voglia di essere indipendente, ma schifato dal mondo adulto “reaganiano” di quell’epoca visto dalla vetrina comoda della giovinezza. Voglia di darsi e di sabotarsi allo stesso tempo. “Non ti devo nulla”, come recita la traccia iniziale di questo disco, una frase che riecheggia l’Iggy di Search and destroy che urla “Non provare a dirmi cosa devo fare”. E che spiega anche perché le canzoni a loro modo rock Fm dei Replacements siano spesso catalogate nel calderone punk.

Erano altri tempi, la gioventù dell’epoca aveva forse alle spalle promesse utopiche che si stavano sgretolando contro un quotidiano grigio e pre-internet; e un benessere provincialotto che favoriva, assieme all’isolamento figlio dei tempi e della loro tecnologia, una pigrizia, indolenza e falsa modestia che molti di noi a volte stanno ancora pagando. Certi lussi non ce li si può più permettere oggi. Oggi ha vinto la poetica dell’hip hop, mordi e incassa, bada al sodo, e, per citare una delle più struggenti canzoni di Westerberg, non è più tempo per lasciare cadere le foglie autunnali senza raccoglierle. Comunque poteva andare peggio, almeno hanno inventato il viagra, pensateci ché tra qualche anno saremo anzianotti sul serio, e forse tornerà utile.

Ole Blue Boy