A tre anni di distanza da “A casa tutto bene” Brunori Sas è tornato con il suo ultimo lavoro “Cip!”, quinto album anticipato dai due singoli “Al di là dell’amore” e “Per due che come noi”. Il titolo “Cip!” (copertina disegnata dall’illustratore Robert Figlia) non è un acronimo, il significato sta tutto nel suono della parola. Suono che ha la priorità nel disco rispetto ai testi e al loro significato, nonostante ci sia sempre, e non potrebbe essere altrimenti, una grande attenzione alle parole. Nei testi c’è infatti la ricerca di un modo ben preciso di esprimersi, che sia più identificativo di un cantautore. C’è, inoltre, la volontà di trattare i temi da una posizione più distante – anche se non distaccata – al fine di poter osservare e comprendere le cose da un punto di vista più ampio. E’ un disco che si pone sicuramente alcuni interrogativi come tipico dei lavori di Brunori. Ciò che è cambiato, insieme all’attenzione al tono, al modo di volersi esprimere, è la leggerezza con cui il cantautore calabrese affronta i temi protagonisti del suo nuovo lavoro, leggerezza frutto di una consapevolezza diversa: siamo qui a vivere le nostre esperienze, i nostri amori, la nostra vita che sembra infinita, ma che infinita non è, “…oppure possiamo accettare il dolore che la vita è vita soltanto se muore…”.

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Brunori indaga sul come la morte (o meglio la fine della vita, il fatto che la stessa e tutto quello che costruiamo abbia una scadenza che è la morte) possa rapportarsi e possa combattere la divisione e il male che caratterizzano il nostro tempo. L’attenzione è rivolta all’uomo e non agli uomini, l’uomo come punto di partenza per poi affrontare varie tematiche di carattere etico e morale, “…perché gli uomini smettono di essere uomini solo quando si sentono soli…”, con un pessimismo più mascherato, derivante ad una maggiore maturità o da una maggiore positività o, magari, tutt’e due. Ma ci sono anche momenti di sfogo e allo stesso tempo di speranza e di esortazione come in “Al di là dell’amore”, dove la parola e il messaggio arrivano diretti, forti, perché hanno la portata di un’emozione che Brunori sente e vuole far sentire con uguale forza, con decisione. A volte come un padre, come un fratello, come qualcuno “…che si prende cura di noi per prendersi cura di sé…”. Come sempre e come in “Benedetto sei tu” la risposta, meno ovvia di quello che si pensi, è l’amore. Ma non come via di fuga, bensì come soluzione, per tornare umani, con quei valori che oggi vengono messi in discussione: “sia benedetto il signore Gesù Cristo, che se fosse nato oggi non l’avremmo neanche visto, perso nel mediterraneo su una barca in mezzo al mare…”

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C’è spazio anche per parlare delle relazioni, come in “Per due che come noi”, di quei rapporti già avanti negli anni rispetto al periodo dell’innamoramento, “…e che se guardi indietro non ci crederai, perché ci vuole passione dopo vent’anni a dirsi ancora di sì…”, perché quello che si vive negli anni è frutto delle emozioni e delle esperienze iniziali, semplicemente mutate nella quotidianità.
La musica risulta essenziale nella struttura, molto quadrata, ma che veste comunque ogni canzone della sua forma più naturale e adeguata attraverso sound diversi.

Il risultato complessivo mantiene un senso comune e di completezza e una direzione omogenea nel disco. Due sono i caratteri che si evincono a proposito: la coralità delle canzoni, prerogativa di Dario Brunori e del co-produttore Taketo Gohara, per quello che sarà l’importante momento dei live (per la prima volta il tour nei palazzetti), e la stratificazione sia del suono che del significato delle parole, la quale permette un ascolto più dinamico dell’album.

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