Il racconto di un anno e mezzo di vita vissuta dopo “Camper”, certezze via via sfumate per ritrovarsi metaforicamente in un attimo “Dopo la guerra”, per cantarle con gioia al fine di esorcizzarle.

Il cantautore torinese Bonetti si racconta oggi, giocando la carta del cantautorato con le chitarre, così complici nello scandire il periodo di cambiamento in musica. Nove pezzi facili da etichettare come indie-pop: Signore e signori, veniamo dal tutto e vogliamo niente, la strumentale di poco più di un minuto e mezzo che apre le danze, risuona perfettamente come manifesto programmatico di ciò che si racchiude dentro questo disco.

L’urgenza di ascoltare storie in cui rispecchiarsi ha il sopravvento per quanto riguarda i testi e immedesimarsi è un processo che viene spontaneo. È guerra è la ballata che rappresenta la cuspide delle tribolazioni, Correre forte, (come piangere e ridere, di cui si parla nel testo dal retrogusto demodé), Dobbiamo tirar fuori qualcosa il momento successivo.

Il filone narrativo-riflessivo prosegue (Il futuro), la considerazione principale consiste nel capire che i conflitti possono sfociare in nuove possibilità e viene articolata con brani da cui è difficile distogliere l’ascolto (Cosa mettono nei muri).

La scia delle relazioni amorose e ciò che rimane di queste (Eleonora) è un grido intonato che riassume i pensieri di una vita da ricostruire, in un disco che scorre in modo gradevole dall’inizio alla fine. Il ritmo pop con cui si esprime per la maggior parte dei pezzi si interrompe soltanto nella più minimale R., che non a caso mette il punto fermo su questo disco.

In “Dopo la guerra”, Bonetti ci torna a parlare della condizione di esser umani, declinati a seconda dei problemi esistenziali vari ed eventuali, in una elaborazione della vita piuttosto azzeccata in cui si scopre, alla fine, che anche la guerra non è che una metamorfosi per tornare a germogliare.

Caterina Gritti