Tre anni fa, con il loro esordio “Schlagenheim”, i Black Midi si facevano alfieri del caos in musica. Lo scorso anno hanno raddrizzato un po’ il sound rendendolo più monolitico e granitico con “Cavalcade”. Oggi, grazie ad “Hellfire”, Geordie Greep (voce e chitarra), Cameron Picton (voce e basso) e Morgan Simpson (batteria) alzano ancora di più l’asticella del loro talento grazie a un lavoro che più completo non si può.

“Hellfire”, malgrado il titolo, è lontano dalle atmosfere della pluriosannata serie “Stranger Things”, ma come la serie sa giocare con i generi musicali. Se nella colonna sonora del peso massimo di Netflix si mescolano infatti Kate Bush e Metallica senza soluzione di continuità, in quest’ultimo album i Black Midi mescolano tutto ciò che la musica ci ha regalato durante il secolo scorso, dalla musicalità crooner degli anni Quaranta fino a certe soluzioni dell’alternative dei Novanta, il tutto senza dimenticare le fondamenta prog dei magnifici Settanta.

Fra gli episodi più avvincenti, il latin con tanto di chitarra alla Gipsy Kings di Eat Men Eat, la mini rock opera con finale super metal Welcome to Hell, la schizzatissima The Race Is About to Begin, fra Primus e velocità punk hardcore, la grandiosa ballad alla Frank Sinatra The Defense e la conclusiva 27 Questions, fra hard rock, pop sinfonico, Bing Crosby e Irving Berlin (sentitevi il finale).

I Black Midi sono cresciuti, e laddove il primo album era “roll” e il secondo più indirizzato sul “rock”, il terzo, suvvia, lasciatecelo dire, è il più “accessibile” e rock’n’roll del lotto. Bravi bravi.

Andrea Manenti