« Sicario » era bello, « Balde Runner 2 » temuto, « Arrival “ sopravvalutato. Sembra la regola dei film più osannati di questo inizio anno, ma anche il penultimo film di Villeneuve delude le aspettative ( e dire che dalla passata Mostra del Cinema di Venezia lo aspettavo come se si trattasse di conoscere un possibile nuovo amore). Ma anche questa volta niente, come per “La la Land”, il mio cuore non ha battuto, annebbiato dalla bradicardia della noia. Un film di fantascienza con velleità politiche e di denuncia, dove gli alieni sono piatte macchie di inchiostro insettiformi simili a tavole di Rorshach, da interpretare con occhi sbarrati e tutine da palombaro. Dodici astronavi simili a scodelle (o uova sode) atterrano sulla Terra, sconvolgendone gli equilibri e solo una professoressa esperta di linguistica potrà comprendere il vero messaggio e motivo di questo arrivo. Dalla sua casa in riva al mare, Louise verrà trascinata da una realtà di dolore e ricordi in un centro di studi, per cercare di capirci qualcosa, insieme a Ian Connelly, scienziato razionalista di buoni sentimenti. La deriva sentimentale è dietro l’angolo come il messaggio, durante la lenta ricostruzione del linguaggio alieno, che a volte sfiora il ridicolo (a tratti ho pensato ad una versione di fantascienza di “Nell” con Jodie Foster) ed altre il pretenzioso. Villeneuve sceglie una tecnica a togliere, negando ogni spettacolarizzazione, ispirandosi più ad “Alien” che a “Indipendence Day”, perdendosi nelle intenzioni e dilungandosi in una banale attesa di un finale interessante e spiazzante. Bravi tutti, bella la narrazione frammentata, ma forse non sentivamo davvero il bisogno di “Arrival”, un bell’esercizio di stile vuoto come l’interno di una scodella (aliena o no). Bravo soprattutto lo spettatore a non addormentarsi.

Il Demente Colombo