I National sono diventati una delle band indie più rappresentative degli anni 2000 per due ragioni: la loro combinazione di raffinate sfumature letterarie e di un’aggressività musicale sublimata che spesso sfocia in un culmine barocco e brutale, e il loro dono unico nel mettere d’accordo le generazioni X e i millennial. La band originaria dell’Ohio crea musica per una generazione soffocata da lavori automatizzati e alienanti. La sfida è continuare a scrivere sulla malinconia della classe media e farla sembrare così avvincente.

Come successe ai R.E.M. di  “Around the Sun”, la band è alle prese con un disco che secondo la critica dovrebbe sollevarla dalla monotonia di cui  è tacciata. Un disco che però va dritto per la sua strada certamente affine e quasi complementare al suo predecessore. I R.E.M. reagirono al fallimento prendendosi alcuni anni per tornare con un album rock. I National hanno adottato l’approccio opposto, e appena cinque mesi dopo “First Two Pages Of Frankenstein”, escono con un nuovo disco, con materiale scritto insieme al suo predecessore.

Fedele alla sua copertina speculare, “Laugh Track” suona in gran parte come “First Two Pages of Frankenstein”, continuando l’umore dimesso e la prospettiva ritirata, con il cantante Matt Berninger che sviscera le sue ansie depressive e canta del deterioramento delle relazioni (“Friendships are melting/Nothing is helping”, canta con tono disperato). Questo potrebbe deludere i fan che speravano che la ricezione tiepida di “Frankenstein” avrebbe ispirato la band a scuotere le cose, ma “Laugh Track” perfeziona in modo sottile l’approccio del suo predecessore, ne è quasi complementare. 

La maggior parte è stata registrata dopo “Frankenstein”, utilizzando il tour dietro a quell’album per testare in strada e raffinare le idee vaghe delle sessioni di scrittura, quindi l’esecuzione è leggermente modificata, meno rigida, più libera. La cosa più evidente è che il batterista Bryan Devendorf torna a suonare una batteria vera  dopo che “Frankenstein” lo aveva principalmente relegato alle macchine. Questo è un miglioramento enorme: la batteria di Devendorf è stata a lungo l’antidoto alla narcolessia che spesso accarezza le composizioni della band e riesce a mettere gli accenti drammatici nei punti giusti per dare e togliere pathos all’accorrenza. Lo si capisce in brani come Turn Off the House o sul finale di Space Invader.

Come è diventata consuetudine nei dischi dei National, ci sono alcune collaborazioni importanti.  Phoebe Bridgers torna nella traccia che dà il titolo al disco, mentre Justin Vernon aka Bon Iver segue Matt Berninger in Weird Goodbyes, il singolo escluso da “Frankenstein”. Nomi importanti, entrambi, ma sono essenzialmente accompagnatori. Le loro voci non lasciano impronte immemori nella storia della band. Questione a parte per Rosanne Cash, che interpreta il ruolo di Lady Gaga per Berninger in Crumble, una delle canzoni più interessanti dell’album, che arriva verso la fine della tracklist.

L’album riserva il suo cambiamento più significativo sul finale: Smoke Detector, una jam in stile Velvet Underground in cui Berninger recita poesie incandescenti e astratte su chitarre ruvide per quasi otto minuti: “Fai una lista dei tuoi cari in ordine di altezza / Ridete dei merli nella notte”, canta sommesso. Scritta in fretta durante un soundcheck appena alcuni mesi fa, è stata l’ultima canzone completata per “Laugh Track” e sembra provenire da un album completamente diverso. Dopo così tanta bellezza composta, la sua crudezza è una correzione, un segnale verso una nuova direzione. Questa band ha ancora un album rock nelle corde. Forse la prossima volta.