Richard Ashcroft è una leggenda. Dopo aver superato incolume una giovinezza psichedelica, il successo planetario del brit-pop, lo scioglimento della sua creatura The Verve, una fulgida rinascita come artista solista, una reunion iniziata e finita in due anni e una nuova ripartenza ancora in versione solitaria, all’alba dei 47 anni Richard si ritrova a presentarci la sua ennesima fatica discografica: “Natural Rebel”.

Dieci brani dalla scrittura cristallina, tramite i quali ancora una volta la star inglese sbatte in faccia a tutti il proprio talento. Ad essere sinceri, però, questa volta qualcosa da ridire ci sarebbe anche. La super-produzione pop a tutti i costi, infatti, fa del suono da FM americana la propria bandiera, e l’effetto non è sempre dei migliori.

Ashcroft si fa comunque perdonare infilando uno dietro l’altro dieci gioielli tutti potenziali singoli, che hanno poco da invidiare ai vecchi successi. Una chitarra acustica, basso, batteria, una chitarra solista che ricama le armonie rendendole se possibile ancora più apprezzabili, una voce iconica e, ogni tanto, quando serve, un pianoforte o una sezione d’archi. Richard Ashcroft è questo: prendere o lasciare. Attenzione però, perché lasciare sarebbe un vero peccato.

Basti il riff portante dell’iniziale All My Dreams o la melodia celestiale di Birds Fly, i cori quasi gospel del finale del singolo Surprised by the Joy o il country di That’s How Strong, la classe di scuola Elvis Costello o Joe Jackson di Born to Be Strangers. O ancora, il ritornello contagioso di That’s When I Feel It, la ballad decadente We All Bleed, il mid tempo A Man In Motion o l’intro beatlesiano di Streets of Amsterdam.

Il finale regala anche la scintilla che non ti aspetti, Money Money: distorta, con piano alla Stooges e solo che manco Steve Stevens. Dopo nove album difficile chiedere di più.

Andrea Manenti