«Don’t waste your time on me», urla sgraziato Black Francis nella canzone che apre “Doggerel”, un mid tempo teso che a metà durata cambia vestito lanciandosi in una pazza rincorsa hardcore punk. Ebbene, non ascoltatelo! Il frontman dei Pixies ci sta prendendo in giro. La band di Boston infatti non ha mai avuto tanto da dire come in questa ottava fatica sin dai tempi del capolavoro assoluto “Doolitte”, un album che a suo tempo finì con l’influenzare l’intera scena alternative a stelle e strisce.

Sia ben chiaro, nel frattempo non è stato pubblicato soltanto materiale di scarto come certi detrattori da anni vogliono far credere: “Bossanova” e “Trompe Le Monde”, pur lontani dalle vette d’inizio carriera, non erano affatto da buttare. “Indie Cindy”, oltre allo sforzo di riappropriarsi del glorioso passato, aveva più di un paio di pezzi buoni (e almeno uno buonissimo: l’ingiustamente già dimenticata Andro Queen). “Head Carrier” e “Beneath the Eyrie”, nonostante l’assenza di canzoni veramente memorabili, erano comunque qualcosa di più che meri esercizi di stile.

È però certo che questo “Doggerel” abbia una grossa marcia in più. Dodici brani, dodici acquerelli pop sferzati dalla chitarra elettrica e sostenuti da una grande sezione ritmica. Dodici nuovi piccoli anthem, che entrano in testa sin dal primo ascolto come non accadeva veramente da tanto tempo grazie al loro mix perfetto fra originalità e semplice bellezza. Dalla già citata canzone d’apertura alla conclusiva title track, ballad sui generis dal vago sapore Hey, dal singolone There’s a Moon On all’irresistibile tremolo di Vault of Heaven, dall’ultra orecchiabile The Lord Has Come Today con tanto di citazione del nume tutelare Neil Young alle atmosfere western di Who’s More Sorry Now?, la capacità di scrittura dei Pixies sprizza da ogni poro. Una vera goduria.

Andrea Manenti