Milano, 13 aprile 2017

PROLOGO: nel 2008, mentre ero in coda per entrare all’Arena Civica di Milano per il tour di “In Rainbows” dei Radiohead, un mio amico mi parlò di un cantautore molto promettente. La cosa che mi colpì di più a quell’epoca si limitava al solo nome, perché dopo qualche ascolto per lo più distratto, l’approccio musicale che Le Luci della Centrale Elettrica proponeva non incontrava né il mio gusto né il mio interesse. Questo è stato vero fino all’uscita di “Terra”, che invece ho amato dal primissimo ascolto. Ascolto a cui ne sono seguiti innumerevoli altri nel giro di pochissimo tempo. Se ve la siete lasciati sfuggire, vi consiglio di leggere qui la recensione del buon Paolo Ferrari, che sa sempre il fatto suo. La situazione che mi si è proposta ieri sera è stata quindi abbastanza paradossale. Non ero mai andata a un concerto di un gruppo di cui non apprezzo minimamente la totalità della discografia, fatta eccezione per l’ultimo lavoro. Di solito succede il contrario e vado a sentire gruppi per stima e per fiducia nel loro percorso, nonostante magari ci sia qualche capitolo che non condivido. Detto questo, ecco le mie riflessioni a caldo sul live all’Alcatraz di ieri sera (con alcune sorprese):

1. Mi sono accorta che è molto difficile apprezzare una performance se la faccia di chi la sta proponendo ispira una naturale quanto irrefrenabile voglia di prenderla a schiaffi. Detto ciò, ho cercato di tenere gli occhi chiusi quasi tutto il tempo per evitare di farmi condizionare e per godere al meglio della musica.

2. L’entrata rovinosa a livello vocale in alcuni pezzi – Chakra e Iperconnessi – mi ha ispirato quasi tenerezza. Al di là di questo, cantare ciò che scrivi dovrebbe avere il vantaggio di facilitarti l’interpretazione. Voglio dire, l’impressione dovrebbe essere quella che ci credi veramente in quello che stai dicendo. E allora la domanda è: perché non sei riuscito a trasmettermelo?

3. La bellezza del disco e il lavoro notevolissimo di arrangiamenti e produzione si perde all’80% in versione live. Capisco l’impossibilità di portare sul palco un’intera orchestra, ma uno sforzo in più lo si poteva fare, perché l’unico violoncellista intervenuto in un paio di pezzi sapeva più che altro di presa per il culo. Le tabla campionate di Coprifuoco sono state quelle che personalmente mi hanno fatto soffrire di più.

4. A starmi sul cazzo molto di più della faccia del cantante sono state le facce del pubblico del cantante. Venticinquenni con il rossetto e i capelli profumati di Pantene che si muovevano ondeggianti e adoranti cantando tutto a memoria. A proposito, un libro cult della mia generazione parlava così di questa categoria sociologica “…sono tutte stronze che si fanno scopare, ascoltano Carboni, ti smollano, si fanno scopare, ascoltano Carboni, ti smollano…”. Se quel libro fosse stato scritto nel 2017, al posto di Carboni ci sarebbe stato scritto Le Luci della Centrale Elettrica (vedi punto 8).

5. Il tastierista assomigliava moltissimo a uno di cui ero innamorata il primo anno di Università e aveva l’età di uno che fa il primo anno di Università.

6. Il penultimo pezzo in scaletta è stata una cover dei CSI e ha scatenato in me un’ondata di sincera gratitudine e fiducia nei confronti dell’umanità, anche solo per aver sentito citato quel nome. Ovviamente ero la sola a cantarla a squarciagola.

7. La scaletta comprendeva tutte le tracce di “Terra” mescolate a hit degli album vecchi, che intuivo essere hit dall’entusiasmo del pubblico. Sinceramente l’ordine di presentazione mi ha lasciato un po’ perplessa. Ad esempio A Forma di Fulmine avrebbe meritato una collocazione un po’ più di rilievo invece che essere buttata a caso nel mezzo. Nel complesso però è stato apprezzabile poter ascoltare dal vivo l’intero disco.

8. Una 25enne con il culo geodetico e i capelli Pantene mi si è strusciata addosso tutto il tempo. Se fossi stato un uomo sarei andato a casa contento.

9. Durante Iperconnessi, anticipata da una intro a tema (“Nessuna tecnologia ci toglierà mai il piacere di stare tutti insieme in uno stesso luogo a goderci il qui e ora”) nessuno si è azzardato a scattare foto o video. Via libera per la restante parte di scaletta.

10. Mi sono chiesta per tutta la durata del concerto se è vero che Vasco Brondi alle feste sta appoggiato al muro e parla con le ragazze degli altri (cit.).

In sintesi posso dire che ho vissuto questo live come un’occasione mancata per portare anche sul palco il livello di maturazione raggiunto a mio parere nel disco (ma l’avete letta o no la recensione di Paolo Ferrari?). Ero partita molto carica pensando di seguire un po’ di date del tour, ma credo che continuerò a far girare prudentemente il dischetto su Spotify perché la magia di quei pezzi riprodotti, pieni di seconde voci, di suoni belli e rotondi e di puro pathos, quella sì che mi emoziona un bel po’. D’altronde in questa era di iperconnessione per stanarci dalle nostre camerette tappezzate di schermi non basta scrivere belle canzoni. Bisogna anche essere capaci di condividerle con gli altri.

La Vedova Tizzini