Nella lingua dei tarocchi il cavaliere di coppe è uno dei simboli dell’affettività. Riguarda la sfera della giovinezza e della ricerca, ricca di curiosità sessuale e lavorativa, che vive con l’ardore proprio delle prime fasi della vita, alla scoperta del mondo. Una figura positiva, di ricerca, che quando è capovolta indica il suo contrario, trasformandosi in un giovane perso, sotto le prospettive sentimentali e lavorative. Non a caso la (bellissima)locandina dell’ultimo film di Terrence Malick, vede Christian Bale capovolto, appeso sopra le palme dal lunghissimo tronco di Los Angeles, come se fossero colli di donne pronte a divorarlo. Il mitico regista di pochi film e di grandi atmosfere non ha interrotto la strada intrapresa con “The tree of life”, creando la terza parte di quello che sembra un lungo e sognante discorso narrativo, iniziato con la storia di una famiglia, continuando con quello di una coppia ed esitato con la sua ultima opera nel percorso di un uomo solo. Malick cerca l’essenza, forse ispirato dalla propria formazione filosofica e spirituale, ma il suo lavoro cinematografico si orienta sul togliere, nei dialoghi, nella desolazione delle città, inesorabilmente vuote. Los Angeles in “Knight of cups” è protagonista e carnefice, bellissimo deserto, che sbalordisce per solitudine e vacuità. Un vuoto di contenuti in cui si frantuma un cumulo d’inquietudini, dove la desolazione è l’essenza. Spesso Malick ha trasformato lo spazio in specchio dell’anima, dalla natura, agli interni, alle città, strade di percorsi interiori scanditi da sussurrati flussi di coscienza, in film sempre più complicati e destrutturati. Il regista dell’ottawa si muove nel vuoto, nell’impalpabile, scegliendo il linguaggio dell’interiorità, della spiritualità, un flusso di coscienza visivo e sonoro che non sempre colpisce l’obiettivo, ma che non può lasciare indifferenti.
Quello di Malick è un cinema bellissimo, che richiama gli spazi urbani di Antonioni (soprattutto quelli di “La notte” e “L’eclisse”), dove la bellissima fotografia di Lubezki (furbissimo Inarritu a munirsi del fotografo più bravo che c’è in circolazione) non amplifica il bello ma il dolore e la capacità di perdersi più che di ritrovarsi.
Ispirato ad un’allegoria cristiana del 1600, “The Knight of cups” è stato presentato l’anno scorso alla berlinale, senza riscuotere grandi applausi. Non per tutti i gusti e non il miglior film di Malick, che tuttavia mantiene il fascino vorticoso e irresistibile del suo linguaggio, sempre più simile alla poesia. Uscito a marzo, ancora non si sa quando arriverà in Italia.
Il Demente Colombo

Nome e Cognome: Demente Colombo
Mi racconto in una frase: strizzacervelli con un cuore di cinema
I miei 3 locali cinema preferiti: Anteo, Apollo, Silvio Pellico di Saronno.
Il primo disco che ho comprato: Cross Road (Bon Jovi)
Il primo disco che avrei voluto comprare: Tapestry (Carole King)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Quando sono triste guardo Zoolander e il mondo mi sorride.